Gentile direttore Feltri,
torno a scriverle perché sono sconsolato.
Io ho 17 anni e ho sempre sognato di indossare la divisa della Guardia di Finanza - come mio nonno - per difendere la Patria che amo e che rispetto, sempre. Ma leggendo ogni giorno il Giornale, e la sua «Stanza», mi nascono mille preoccupazioni: in un'Italia dove la sicurezza è quasi assente le forze dell'ordine che provano a difendere il nostro Stato invece di essere premiate vengono demonizzate, processate e condannate. Senza avere nessuna tutela. Invece chi delinque - specialmente se immigrato, meglio se irregolare - viene tutelato e difeso, e viene anche assolto. La divisa che voglio indossare non è per lo stipendio che potrei ricevere, ma per difendere l'Italia e gli italiani onesti. Ma è la scelta giusta? Rischiare ogni giorno la vita per assicurare la Sicurezza, e rischiare la denigrazione e la galera per farlo. Le scrivo perché con la saggezza e schiettezza che la contraddistinguono penso che possa risolvere questo mio dilemma interiore: entrare nel corpo per amore della Patria o rinunziare per paura delle conseguenze? La ringrazio in anticipo.
Cordialmente
Nicola Taurasi
Caro Nicola,
mi scrivi sconsolato, e ti capisco. Perché hai 17 anni, ma dimostri già una lucidità che molti adulti, e parecchi politici, non hanno mai posseduto nemmeno per sbaglio. Hai colto il punto: oggi, in Italia, chi indossa una divisa non soltanto rischia la vita, ma rischia anche la carriera, la reputazione, la libertà personale. Viviamo in un Paese assurdo, dove spesso non si premia chi difende l'ordine, ma chi lo calpesta. Dove gli agenti vengono messi alla gogna mentre i delinquenti, specialmente se stranieri, meglio ancora se irregolari, vengono circondati da una rete di giustificazioni sociologiche degne di una barzelletta d'avanspettacolo. È un meccanismo folle. E, purtroppo, reale. Si lascia credere che lo Stato sia forte solamente quando deve multare un cittadino onesto; diventa improvvisamente fragile, insicuro, colpevole, quando deve applicare la legge a chi la infrange. E la responsabilità di questo disastro culturale è chiarissima: un'ideologia che da decenni ha messo nel mirino le forze dell'ordine, dipingendole come un apparato repressivo, come un problema da correggere e non come una risorsa da proteggere. I segnali li vedi anche tu. Viviamo un'epoca in cui un carabiniere, un poliziotto, un finanziere deve preoccuparsi più dei giudici che dei criminali. Tanto che qualche baldo sindaco cito quello di Bologna, ma non è l'unico arriva perfino a dire che i danni provocati da teppisti e vandali durante i cortei sarebbero colpa della polizia, rea di aver gestito male l'ordine pubblico. Capisci il livello?
I violenti spaccano, devastano, assaltano, e il problema sarebbe chi li contiene. Ma siamo diventati scemi? Eppure è così: c'è un processo di delegittimazione profonda, culturale, prima ancora che giudiziaria. Un veleno lento che erode lo Stato dall'interno. Le forze dell'ordine vengono trattate come sospetti da controllare, mentre ai delinquenti vengono stese passerelle di giustificazioni, come se fossero povere creature smarrite. Però, caro Nicola, qui arriva la parte importante.
Quella che ti riguarda personalmente. Se dopo aver assistito a tutto questo tu senti ancora il desiderio di indossare una divisa, allora vuol dire che hai ciò che serve davvero: non l'incoscienza, ma il coraggio. Non l'entusiasmo ingenuo, ma la volontà adulta di servire qualcosa che vale più del tuo quieto vivere. Domanda: è giusto rischiare la vita per un Paese che spesso non difende chi lo difende? Risposta: sì, se ami questo Paese abbastanza da voler contribuire a salvarlo dalla sua parte malata. La divisa non è un lavoro. È una vocazione. È un giuramento. E chi ce l'ha, la vocazione, non può liberarsene come un pesante cappotto.
La sente, la porta, la onora. Se tu rinunciassi ora per paura delle conseguenze, lasceresti il campo libero proprio a quelli che hanno interesse a vedere lo Stato indebolito, umiliato, imbavagliato. Se tutti ragionassero così, l'Italia diventerebbe un enorme condominio di criminali senza portinaio.
Tu non sei fatto per voltarti dall'altra parte. Lo dimostra la tua lettera, lo dimostra il rispetto per tuo nonno, lo dimostra la tua rabbia pulita, che è segno di coscienza.
Perciò la mia risposta è semplice: entra nel Corpo. Nonostante tutto, anzi, proprio perché c'è tutto questo. A un Paese che ha troppi traditori servono giovani che vogliono difenderlo. A un'Italia che spesso processa i giusti, servono persone che hanno ancora il coraggio di essere tali.
A un'epoca che
chiama eroe chi incendia cassonetti, servono uomini che indossano la divisa per convinzione, non per lo stipendio. Tu sarai uno di questi. E credimi, è molto meglio essere un giusto processato che un vigliacco applaudito.