Contro la polizia per non perdere popolarità: così gli artisti si buttano in politica

Perdere consensi per difendere la democrazia? No, in Italia si preferisce salire sulla polemica del momento e schierarsi senza indugi dalla parte "dei giusti", altrimenti piovono accuse di "fascismo": un paradosso tutto italiano

Immagine di repertorio
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L'ultima settimana è trascorsa adagiandosi di passo in passo sulle polemiche per gli scontri tra i manifestanti e la polizia a Pisa. O, meglio, per dirla come quelli che ben pensano, è trascorsa discutendo delle manganellate date dai poliziotti ai "bravi ragazzi", gli studenti in piazza per la Palestina. Ecco, forse così qualcuno è più contento. Il dibattito pubblico in Italia, ormai, è completamente condizionato dai social e fa impressione vedere quanti personaggi del mondo dello spettacolo, senza contare i giornalisti, si siano voluti unire al coro degli indignados che hanno puntato il dito contro le divise. Nessuno di loro che abbia anche solo avanzato l'ipotesi che quelle cariche di alleggerimento fossero, in realtà, una reazione a una aggressione, a tentativi di forzare il cordone di sicurezza posto a protezione di obiettivi sensibili, bene comune della collettività.

No, certo che no. Perché in questo confronto pubblico inquinato, chiunque difenda le forze dell'ordine di becca l'etichetta di "fassista". Ma sarebbe bastato, se proprio non si vuole difendere la polizia, almeno avanzare qualche dubbio sulla correttezza di quel corteo, qualche critica sulla violenza dei "bravi ragazzi". Ma anche questo sembra essere troppo per l'intellighenzia italiana. Meglio alimentare l'odio contro le forze dell'ordine, che tanto non rispondono, che tanto, pure se vengono bistrattate e umiliate, alla fine sono sempre lì a fare il loro lavoro. E se li chiami comunque rispondono al meglio delle loro possibilità. Quanti, nell'ultima settimana, hanno portato sugli allori Roberto Vecchioni e le sue lacrime per le immagini degli scontri. Quanti artisti "impegnati", o convinti di esserlo, hanno attaccato i poliziotti che hanno aggredito i "poveri" studenti. Nessuno che abbia pensato a come si sono sentiti quei padri di famiglia.

Gli agenti che erano presenti alla manifestazione di Pisa e che sono stati coinvolti negli scontri si sono auto-identificati: se verranno individuate responsabilità a loro carico ne subiranno le conseguenze. Ma dall'altra parte, quelli che hanno preso a calci, sputato, tentato di strappare gli scudi ai poliziotti, cosa rischiano? Niente. Vanno in piazza a dire che le manganellate non li spaventano ma appena la polizia reagisce alle loro provocazioni violente vanno a piangere sui giornali, trovano la sponda di chi alliscia loro il pelo e in questo modo fa capire che sì, chi se ne frega della polizia, loro possono tutto. E non perché (si spera) lo credono davvero, ma perché questo migliora la popolarità social. Tra gli anni Settanta e Novanta le piazze italiane sono state bollenti: gli scontri con la polizia erano all'ordine del giorno. Eppure, di queste polemiche, non se ne sono sentite. Sarà forse che per lo più si sono succeduti governi graditi, al contrario di quello attuale?

Fino a quanto il dibattito pubblico italiano continuerà a essere inquinato dalla smania di consenso e non da una reale volontà di esprimere il proprio pensiero. Fino a quando gli adulti dimostreranno che solo chi pensa in un certo modo è meritevole di protezione e di supporto. Finché gli artisti, come in un circolo vizioso, pubblicamente si impegneranno per dimostrare di essere di sinistra ed esibiranno il proprio sdegno per chi ha un pensiero divergente. Finché il movimento radical chic da salotto sarà di moda, fino ad allora cresceremo generazioni orientate al pensiero unico, che si sentono in diritto di bruciare le fotografie dei politici sgraditi nelle piazze. Che si sentono in diritto di inneggiare e scherzare sulle Brigate rosse, diventate quasi un mito. Che si sentono in diritto di mancare di rispetto alle forze dell'ordine e, di conseguenza, allo Stato.

Giovani che sanno di poter usare la violenza a loro uso e consumo, perché tanto non ci sarà nessuno a dare loro uno scappellotto, seppur virtuale, ma solo buffetti di incoraggiamento. Ed è il paradosso dell'Italia, quello di un Paese popolato di sedicenti antifascisti che vogliono imporre il pensiero unico, proprio come fece il fascismo un secolo fa.

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