
"Sei un cretino!”. Quante volte - da ragazzi, e anche dopo - ce lo siamo sentiti dire un po’ da tutti: genitori, professori, fidanzate, capo uffici… Senza contare quando, più raramente però, ce lo dicevamo da soli: “Sono stato proprio un cretino…”, magari dopo aver fatto, o detto, qualcosa di sbagliato. In chiave letteraria “La prevalenza del cretino” di Fruttero&Lucentini fu una rivelazione rassicurante: i cretini non eravamo “solo” noi ma “tutti” noi: l’esercito procreato da una mamma nazionale (anzi, universale) perennemente col pancione; fu poi Flaiano (un gigante) a svelarci che “la madre dei cretini è sempre incinta”. Insomma, il “cretinismo” come marchio di fabbrica del genere umano trasversale a qualsiasi “differenziazione gender”, qualsiasi cosa voglia dire questa definizione (piuttosto cretina, tra l’altro).
Anche per tali ragioni (più o meno cretine, fate voi) la conferma - dopo ben tre gradi di giudizio - della sanzione (una censura) inflitta da un preside di Sassuolo a un docente, reo di aver detto “cretino” a un suo suo alunno. Non si conoscono i motivi che hanno portato il prof a dare del “ cretino” allo studente. Potrebbe trattarsi di una cosa grave (gli studenti ormai trattano i prof come pezze da piedi) o di una sciocchezza (ma anche trattare i prof come pezze da piedi è ormai considerata una “sciocchezza”).
Non staremo qui a fare il quarto grado di giudizio, piuttosto ci preme ricordare come l'identikit del “cretino prevalente”, tracciato negli anni ‘80 da Carlo Fruttero e Franco Lucentini sia diventato nel corso del tempo una realtà inconfutabile: l’imbecillità domina ovunque e per rendercene conto basterebbe guardarci (con onestà) allo specchio. E non c’è sentenza di condanna al “cretinismo” che possa cancellare l’evidenza. Perché un “cretino” è per sempre. E brilla pure più di un diamante.