
«Ha cambiato residenza?», «Ha portato la fototessera?». E poi, secco: «Acconsente al trapianto d'organi?». L'impiegato comunale (che non fa il medico, ma, appunto, l'impiegato comunale) pone una delle domande più intime al mondo con il piglio e la fretta di chi deve semplicemente barrare una casella. E il 40% degli italiani che rinnova la carta d'identità risponde «no».
Ora, perché quel no? Le donazioni di organi in Italia funzionano bene, sono aumentate del 20-25% negli ultimi anni. Come mai, allora, quasi un milione di italiani, all'anagrafe si rifiuta di dare il consenso? Forse non è quella la sede giusta in cui decidere cosa fare del proprio corpo. Come ci si può immaginare cerebralmente morti nel bel mezzo di un ufficio comunale, allo sportello, con le persone in fila e il bigliettino del turno in mano? Quel no è forse la traduzione sintetica di un «non lo so, non ci ho mai pensato». Ed è proprio questo il punto: non ci pensiamo. L'idea della nostra morte ci fa orrore, è un pensiero tabù che rimuoviamo appena ci balena alla mente. E quindi non pensiamo nemmeno a donare una parte di noi, anche se, quando arriverà quel momento, non ci serviranno più né reni, né fegato, né occhi. Dire no all'«omino dell'anagrafe» è più facile.
Tuttavia, quel milione di italiani che non vuole donare deve fare riflettere le associazioni e le istituzioni che impostano le campagne di sensibilizzazione. Perché sarà pur vero che qualcuno non dà il consenso al trapianto di organi per motivi religiosi, ma la maggior parte non lo fa non per egoismo ma per ignoranza. O, peggio ancora, per inconsapevolezza. «Ad esempio, gli anziani - ci spiega Luciano De Carlis, direttore di Chirurgia generale e dei trapianti al Niguarda di Milano - Pensano di non poter più donare gli organi. Invece siamo riusciti a trapiantare fegati donati da persone di oltre 100 anni. Però vanno informati. Se lo sapessero, magari sarebbero più spronati a dare il proprio consenso, a sentirsi utili».
C'è poca informazione. Se non si viene toccati da vicino da un caso estremo o se non si conosce nessuno che sia in lista d'attesa per un intervento salva vita, si lascia scivolare via il tema. Pesante, senza dubbio. Così come si rimandano le decisioni su testamenti biologici e via dicendo. E poi c'è un altro aspetto cruciale: è aumentata la sfiducia nelle strutture sanitarie, soprattutto nel post pandemia. C'è poca conoscenza delle procedure per accertare la morte, c'è un implicito timore di non venir salvati in extremis se i medici scoprono che siamo donatori.
E c'è da fare anche un lavoro di sensibilizzazione sui medici delle rianimazioni se è vero che il 20% non segnala al Coordinamento trapianti l'arrivo in reparto di un potenziale donatore. Perché, mentre noi ci arrocchiamo ancora dietro sciocchi pregiudizi, o addirittura preferiamo non pensare «a certe brutte cose», ci sono i pazienti che aspettano un trapianto. Ottomila persone.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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