
In Italia la Costituzione è chiara: lo Stato è laico e nessuna confessione religiosa può essere finanziata o favorita. Eppure, nelle mense scolastiche, universitarie, ospedaliere e in diversi appalti pubblici, quote di spesa pubblica finiscono per coprire i costi delle certificazioni halal, un sistema che garantisce che la carne sia macellata e lavorata secondo i precetti islamici. Questa pratica, spesso introdotta con discrezione, solleva interrogativi pesanti sulla trasparenza e sul rispetto della laicità. La carne halal non è solo una questione di "semplice "macellazione ed è un atto fortemente pervaso di ritualità islamica.
L'animale prima di ucciso viene orientato verso la Mecca e l'intera procedura viene accompagnata da precise preghiere ed invocazioni ad Allah. Affinché sia accertato che sia stato seguito alla perfezione l'iter richiesto dal Corano, ogni lotto di catne deve essere accompagnato da controlli, timbri e royalties versati a enti privati che rilasciano tale certificazione. Quando un Comune, una Regione o un ente pubblico acquista esclusivamente carne halal per le proprie mense, una parte di denaro pubblico serve di fatto a pagare queste certificazioni.
Non si tratta di pochi spiccioli: in appalti da milioni di euro, la quota destinata ai marchi halal può diventare consistente. E la domanda è inevitabile: chi controlla questi flussi? Chi garantisce che non si trasformino, di fatto, in finanziamento indiretto a organismi di carattere religioso, in contrasto con l’articolo 7 e l’articolo 8 della Costituzione? In diverse città italiane, per esempio a Bologna e Milano, le mense scolastiche e universitarie offrono sempre più spesso menù esclusivamente halal quando si tratta di carne, trasformando quella che dovrebbe essere un'offerta in una scelta obbligata. Ufficialmente si parla di inclusione e di semplificazione logistica (“un solo fornitore per tutti”), ma nella pratica questo significa che l’intera utenza mangia carne certificata halal, anche chi non lo desidera e non si sente rappresentato da ciò. È un dettaglio che spesso non compare nei menù distribuiti ai genitori e che rende impossibile una scelta davvero informata.
Qui non si discute il diritto di chi segue una dieta halal a trovare ciò che gli è necessario. Il punto è un altro: quando la certificazione religiosa diventa di fatto l’unica opzione acquistata con soldi pubblici, lo Stato viola il proprio dovere di neutralità. Un conto è offrire menù differenziati, ben altro è sostituire il piatto tradizionale con uno che risponde a precise regole confessionali e farlo pagare a tutti i contribuenti. Spesso i capitolati d’appalto non indicano chiaramente la quota di costo imputabile alla certificazione halal, né specificano a chi vadano le royalties. Senza dati pubblici, il cittadino non può sapere quanto della propria imposta finanzia di fatto un altrui sistema religioso privato.
Questo è un buco nero di trasparenza che contraddice lo spirito della nostra democrazia. La questione non è gastronomica ma civile. L’Italia ha costruito la sua identità anche attraverso ricette che fanno parte della memoria e della cultura degli italiani stessi: il tortellino bolognese con ripieno di maiale, la mortadella, il prosciutto di Parma. Che cosa significa, per un Paese così, vedere progressivamente scomparire questi prodotti dalle mense pubbliche in nome di una certificazione religiosa?
Significa perdere pezzi della propria cultura e della propria storia ma anche ridurre la libertà di scelta dei cittadini.
È urgente rendere assolutamente trasparente l'intera gestione dei costi delle certificazioni religiose in tutti i bandi pubblici, cosi come è assolutamente fondamentale garantire che in ogni mensa pubblica sia sempre disponibile un menù laico e tradizionale, accanto a eventuali alternative. Soprattutto è necessario chiarire una volta per tutte che nessuna certificazione confessionale, che sia halal o altro, può diventare criterio unico per le forniture finanziate dallo Stato. L’Italia può e deve accogliere tutte quelle culture che rispettino i suoi valori e il suo ordinamento repubblicano e laico ma non può e non deve pagare con denaro pubblico l’obbligo religioso di una sola. Chi amministra la cosa pubblica ha il dovere di difendere la neutralità e la trasparenza, non di indebolirle.
Quando un Comune o una Regione sceglie solo forniture halal per “praticità”, non sta solo decidendo un menù: sta pericolosamente spostando la linea di confine della laicità dello Stato.