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"I neuroni più complessi di un chip. Il rischio adesso è di iludeere i pazienti"

Il neurologo del S. Raffaele: "La scienza ha i suoi tempi, rischi per la salute"

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E niente. Quando Elon Musk parte, ingrana la quarta e asfalta tutto.
Nessuna pubblicazione scientifica sull’intervento del microchip, nessun iter canonico. Marketing. Puro e spavaldamente americano. Lasciando basita l’intera comunità scientifica, compreso Paolo Maria Rossini, direttore del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione dell’Irccs San Raffaele di Ro ma.

Tocca tirare il freno dopo l’annuncio sensazionale?
«Quella che fa Musk è scienza commercializzata. Del resto il suo obbiettivo è vendere, fine. Ma direi che è un po’ troppo presto per dire che l’intervento è andato bene. Solitamente i medici aspettano di capire se tutto funziona prima di fare annunci. Non si sbilanciano di certo il giorno dopo l’inserimento del microchip».

Insomma, il metodo Musk ha poco a che fare con la medicina?
«Apparecchi del genere esistono già, ma il fatto che sia stato Musk a lanciare questo ne fa un’operazione mediatica ampia. Non ho molto apprezzato certe sue dichiarazioni per pubblicizzare il prodotto. Ha detto che, se lo avesse avuto il cosmologo Stephen Hawking, avrebbe comunicato più di un dattilografo e di un banditore. Capisco il concetto, ma è un marketing poco delicato e poco scientifico».

Detto questo, crede che Neuralink possa cambiare la vita di chi è imprigionato dalla disabilità?
«Non è mai facile commentare una notizia scientifica che non sia stata pubblicata su una rivista di settore con tutte le informazioni e i dettagli del caso. L’annuncio dell’impianto cerebrale su di un essere umano è interessante, ma l’entusiasmo che ha suscitato è per ora poco motivato».

Come mai?
«Intanto perché già numerosi tentativi precedenti sono stati fatti con un approccio simile da un punto di vista teorico (anche se, ovviamente, le tecnologie diventano sempre più avanzate in termini di miniaturizzazione del device e di autonomia delle batterie) con impianti di microelettrodi su piastrine inserite chirurgicamente sulle aree motorie, visive e acustiche in varia tipologia di malati. E poi perché per ora sappiamo solo che il paziente si sta riprendendo bene dall’intervento e che i contatti tra microelettrodi e neuroni sono funzionanti».

Cosa può andare storto?
«Le puntine inserite possono irritare i neuroni e provocare episodi di epilessia. Oppure, attorno al mini apparecchio si può formare una guaina fibrotica che potrebbe compromettere la capacità di tradurre i messaggi».

Nello specifico, quanto è potente Neuralink?
«Immagini una monetina composta da 64 fili sottili, con mille punti di contatto: sembra tanto ma è poco. Solo per muovere un dito attiviamo milioni di neuroni. Quindi è difficile attivare un ordine complesso come ad esempio accendere la tv».

In realtà si parla già di applicazioni su una larga scala di pazienti.
«Pensare già oggi di utilizzare questo tipo di approccio in casistiche estese e in patologie di grandi numeri come i pazienti colpiti da stroke, da Parkinson e addirittura da malattie psichiatriche è non solo molto prematuro, ma fuorviante perché induce speranze del tutto immotivate in malati e famiglie già troppo provati dalle loro condizioni.

È una speranza che per ora si focalizza in una nicchia di soggetti totalmente privati della capacità di movimenti (SLA in fasi molto avanzate, lesioni del midollo cervicale alto, polineuropatie acute) in cui un intervento di tipo invasivo con apertura della teca cranica è giustificato anche sul piano etico».

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