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I vip del Bosco Verticale e la "casetta nel bosco"

Il tema vero è la narrazione che propone una negativizzazione della vita urbana e che forse è eccessiva e anche sbagliata

I vip del Bosco Verticale e la "casetta nel bosco"
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C'è un filo rosso che unisce la «casetta nel bosco» che ogni sera vediamo in TV al Bosco Verticale, due palazzi al centro di Milano firmati dall'architetto Stefano Boeri come parte di un progetto di riforestazione metropolitana. In parole povere, dato che vorresti vivere sugli alberi ma al tempo stesso non ci pensi nemmeno ad allontanarti dal centro di una delle metropoli più vivaci e moderne d'Europa, ecco che il bosco te lo portiamo noi. Una bella torre biologica e sostenibile, con duemila (no, dico, duemila) specie arboree, così ti ricongiungi con la tua anima agreste senza rinunciare al mondo. Poi col tempo magari arriveranno anche gli uccellini, notoriamente più difficili da convincere.

Il filo rosso passa per un'altra Casa, costruita in un bosco di betulle da Cini Boeri, madre del nostro, dato che il frutto non casca mai lontano dall'albero, per stare in tema.

Dove porta il filo? A un padre e una madre che hanno pensato bene di vivere anch'essi in un bosco e, non avendo i milioni per un appartamento al Bosco Verticale, hanno optato per il bosco vero. Ora, tantissimi scelgono di vivere ai margini delle metropoli, per godere di un ambiente più salubre dove crescere i figli. Hanno tutti i confort e sì, si sobbarcano un bel po' di traffico per andare al lavoro e portare i figli a scuola, ma poi vivono a contatto con la natura. È lì il punto: a contatto, non immersi dentro senza acqua e luce. E i figli a scuola e al nuoto ce li porti, mica li cresci come dei piccoli Tarzan. Tribunale o non tribunale, questi due hanno un filo ecceduto e lo capiamo tutti. Però al mondo quello che parte per la tangente lo trovi sempre, basta cercare.

La questione non è l'interpretazione estrema di una filosofia. Per metterla in chiaro, non possiamo liquidarli come i soliti «genitori che sbagliano» e lavarcene le mani. Il tema vero è la narrazione che propone una negativizzazione della vita urbana e che forse è eccessiva e anche sbagliata. Intendiamoci, a tutti piace fare una passeggiata col cane in villa fuori dallo smog del traffico e tutti amiamo quando possibile una giornata al mare o in campagna. Ma basta lì. Vivere insieme, inurbati, ha tanti lati positivi, a cominciare dalle relazioni umane. Ci scambiamo gesti e valori anche con quegli sconosciuti che incrociamo un attimo per strada. Riceviamo e mandiamo stimoli umani in continuazione, che ci arricchiscono e tengono aggiornati su quel sentire diffuso e comune che fa cultura. Scriveva il sommo poeta: «fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Quale conoscenza vuoi seguire se resti sugli alberi? Sono state le città e i porti, non le campagne, a generare la nostra civiltà.

Non è mica che sotto sotto, dietro dietro, a negare la città ci sia proprio l'idea di negare la nostra stessa civiltà? No perché questo è uno sport piuttosto diffuso in Occidente. Cosa avrà poi di tanto brutto la nostra civiltà, specie se la confrontiamo con le altre?

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