L'emergenza del disagio giovanile e le risposte innovative di Medihospes

La cooperativa sociale è stata protagonista di "Tutto in tutti”, evento in cui la Diocesi di Roma ha incontrato le realtà impegnate nell’aiuto ai giovani con fragilità

Il ministro Andrea Abodi
Il ministro Andrea Abodi

Nasce dalle storie e dai drammi delle famiglie con adolescenti in condizioni di vulnerabilità sociale un gesto compiuto dalla Diocesi di Roma, in alleanza con tante realtà che lavorano nel sociale, e con il ministero per lo Sport e i Giovani. Parliamo di "Tutto in Tutti. Inclusione, sport, abilità, salute", la giornata dedicata ai giovani con disagio mentale vissuta a Roma lo scorso 6 giugno. Centinaia le partecipazioni tra ragazzi, operatori e rappresentanti delle istituzioni.

Medihospes

Ideatrice ed esecutrice di questa giornata è stata Medihospes, cioè il Consorzio La Cascina, attraverso la sua partecipata Medinext, una giovane impresa sociale nata dall'alleanza con lo psichiatra romano Santo Rullo, il creatore di Crazy for football. Il consorzio La Cascina, Medihospes e infine Medinext danno vita da anni a opere di accoglienza, assistenza e cura. Parliamo di realtà che ogni giorno scelgono di essere accanto a chi vive in condizioni di fragilità sociale e sanitaria, sostenendo progetti di inclusione e aiuto dove ancora oggi, nonostante una conclamata urgenza, non esiste un autentico supporto da parte delle autorità. E non c'è supporto perché spesso, incredibilmente, si stenta a riconoscere la realtà di quella pandemia che è la fragilità giovanile.

Medihospes in Italia è forte di oltre 5000 operatori che lavorano ogni giorno in diverse regioni e servono ogni anno oltre 16.000 persone, rispondendo in modo attento, concreto, ai loro bisogni. Questo è un mondo dove i professionisti sono qualificati se sanno ascoltare e operare con empatia e competenza. La giornata a Roma, "Tutto in Tutti", è stata pensata come una necessità, per sensibilizzare ancora le istituzioni (il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca e il presidente del Consiglio regionale del Lazio Antonello Aurigemma hanno però significativamente dato il loro Patrocinio), ed è stata vissuta come una festa: è sempre così quando si ha a che fare con i ragazzi, chiunque essi siano e da qualunque vissuto vengano.

Le parole del ministro per lo Sport e i Giovani

La giornata ha visto la presenza di autorità come il ministro per lo Sport e i Giovani Andrea Abodi che nel suo saluto ha sottolineato l’importanza dei gesti oltre che delle parole: “L’esperienza che ho vissuto (gli incontri avuti nelle comunità terapeutiche dei ragazzi, ndr) dimostra che oltre alle parole sono importanti i fatti. I piccoli gesti quotidiani - ha spiegato alla numerosa platea presente nella Basilica di Santa Croce - che consentono di farci carico, ognuno con il proprio ruolo, della gioia della vita. Spesso – ha continuato il ministro - abbiamo un’idea della vita come qualcosa di scontato, invece è un dono prezioso. Avverto l’esigenza di dare la mia testimonianza, non solo come persona ma anche nel ruolo che mi è stato offerto, nella missione che mi è stata affidata insieme agli altri uomini e donne che hanno responsabilità pubbliche, che vanno esercitate con senso di responsabilità ma anche di umanità. L’esperienza che ho vissuto in questa comunità (la comunità La Casa, gestita da Medinext, ndr) mi ha consentito di specchiarmi con la coscienza, ed è fondamentale non abbassare il volume della coscienza, e portare avanti questa responsabilità nella consapevolezza che è un dono prezioso che va messo a disposizione della comunità”.

L'intervento del cardinale vicario di Roma, Baldassare Reina

Alle parole del ministro si sono unite quelle del Cardinale Baldassare Reina che nella giornata Tutto in Tutti ha celebrato la Santa Messa. “È un momento molto toccante lasciarsi coinvolgere da questa esperienza di dolore di chi vive un disagio fisico e mentale. Penso che sia davvero un’esperienza davvero fortissima, la stessa che ho provato io e anche l’assemblea che ha partecipato al momento dell’eucarestia. Ci sono diversi attori che operano nel territorio, tra cui la Diocesi di Roma, che è sempre stata molto attenta a queste realtà sociali e in alcuni casi le sostiene. Speriamo quindi che questa operazione di inclusione e sostegno per coloro che vivono la sofferenza, e per le loro famiglie, sia ulteriormente amplificata. Devo dire che nel dialogo con le istituzioni ho trovato sempre una grande sensibilità e mi pare che su questa strada si stiano facendo delle cose buone”.

Le comunità, i ragazzi e le loro testimonianze

Le testimonianze dei tanti ragazzi presenti sono state centrali. Come quella di Melania, entrata in comunità psichiatrica da circa un anno, che ha sottolineato quanto questa esperienza l’abbia profondamente cambiata, aiutandola ad uscire dalla sua profonda solitudine ed a riappropriarsi della propria vita. Uno stravolgimento positivo che “ora - racconta - mi ha cambiato in meglio”. Poi c’è Sofia, appena 15 anni, che con un sorriso spiega come sia riuscita già in quattro mesi a raccogliere i frutti di questa esperienza: “Sono - dice - una ragazza complicata - ma hanno saputo trattare questa mia difficoltà, e continuano a fare il meglio per me. Sono felice in questa comunità, che è una casa, perché noi siamo una famiglia”.

“La comunità non è solo un luogo terapeutico - racconta invece Aurora, da un anno in comunità psichiatrica - credo invece che ti faccia vedere tante sfaccettature della vita e del mondo in generale, e ci aiuta a riconoscere anche le difficoltà di chi ci circonda. Se non fossi entrata non avrei mai conosciuto tante persone che ora per me sono fondamentali”.

Medihospes, La Cascina e le realtà in campo

A raccontare il lavoro sul campo, i cui frutti sono stati ben evidenziati durante la giornata “Tutto in tutti”, c'è Luigi Grimaldi, manager e volto storico di MediHospes.

"Tutto in tutti” nasce da una necessità profonda di cui voi avete sentito l'urgenza e che spesso viene ignorata dalle autorità. E' così?

“La salute mentale ha confini labili, il sistema italiano se ne accorge solo quando il disagio è diventato emergenza. La nostra urgenza, invece, è creare una rete territoriale che il disagio lo sappia leggere e prevenire, per evitare che si trasformi in una condizione perenne, che crea danni alle persone che soffrono, alle loro famiglie e alla comunità dove vivono. Riconoscere per tempo i sintomi di questi disturbi è allora fondamentale. In particolare, i sintomi della depressione sono spesso diversi tra adolescenti e adulti, ci sono non soltanto tristezza e isolamento, ma anche irritabilità, rabbia, comportamenti autolesionistici…”

Quali sono le criticità che avete riscontrato in chi si trova a dover affrontare il problema di un adolescente con problemi di salute mentale?

“La solitudine. Senza alcun dubbio. Oggi si preferisce non vedere il bisogno enorme di un’intera generazione - resa ancor più fragile dall'isolamento del Covid, ma lo era già prima – e si scarica sui care giver, soprattutto i familiari, il peso del problema. Ed inoltre si continua a privare il territorio di una rete assistenziale in grado di affrontare il disagio di un adolescente, con strutture e professionisti adeguati. Una dimostrazione? A fronte di un bisogno enorme, i Sistemi Sanitari Regionali stimano i “fabbisogni” (cioè l’unità di misura da cui dipendono le risorse messe a disposizione) come prossimi allo zero… Il che significa che da un lato si afferma che non ci sono problemi, dall’altro che, di conseguenza, non occorre destinare risorse. A ciò si aggiunge l’assenza di un approccio integrato ai bisogni dei pazienti. Qui abbiamo una concezione che va “per competenze”, in cui il Sistema sociale non dialoga con quello Sanitario, o, peggio, un ragazzo viene catalogato come psichiatrico, tossicodipendente, oppure autore di reati e lo si avvia a percorsi di presa in carico che affrontano un solo problema, mentre spesso il ragazzo i problemi li ha purtroppo tutti insieme”.

Che numeri ci sono ora, quante le richieste di aiuto?

“Di ansia e depressione ci si ammala sempre più da giovane e sempre prima. La Società italiana di Pediatria lo scorso novembre ha diramato i dati ufficiali, un giovane su quattro nel nostro paese soffre di depressione mentre uno su cinque ha disturbi d’ansia; aumenta il numero degli adolescenti che evita la vita sociale isolandosi da un mondo percepito come minaccia. Per loro il mondo è un produttore di stimoli e perturbazioni angoscianti da cui sentono di doversi proteggere, la parola giapponese hikikomori vuole dire “isolarsi”. Cito recente indagine dell’Associazione Nazionale DiTe (Dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo) in collaborazione con il portale studentesco Skuola.net: “la ridotta capacità di relazionarsi ‘vis a vis’ si riflette in una crescente assenza di amici in carne ed ossa: il 26,8% non ha legami significativi coltivati regolarmente con incontri al di fuori delle piattaforme digitali. E nella riduzione della capacità di uscire di casa: il 14,4% spesso se non sempre fa fatica a incontrare i propri amici dal vivo”. Gli episodi di isolamento volontario e stabile riguardano oltre 60.000 adolescenti italiani. Nella nostra esperienza quotidiana anche noi riceviamo decine di richieste di aiuto da parte di famiglie, scuole, comunità ed enti di varia natura (Comuni, Asl, Tribunali dei minori) ci chiedono tutti la stessa cosa: prendete in carico i ragazzi”.

Come si sta muovendo la vostra realtà?

“Medinext nasce da un'alleanza. E' controllata dalla cooperativa sociale Medihospes – che aderisce al Consorzio Gruppo Cascina – ed è partecipata da Next Salute e Servizi dello psichiatra Santo Rullo, che tanti conoscono per la sua iniziativa Crazy for football. Tra i fondatori ci sono anche delle famiglie. Sin dall'inizio ci siamo mossi per creare dei luoghi di vita e di convivenza tra i ragazzi, con l'idea di fare rete con quanti vengono in contatto con i giovani e il loro disagio, nell'attenzione a superare i modelli assistenziali rigidi e standardizzati e creare strutture residenziali più somiglianti a dimore che a istituti. Abbiamo avviato un progetto di apertura di Centri Diurni, in cui gestire anche i momenti di crisi dei ragazzi una volta stabilizzati. Oggi tipicamente le crisi vengono gestite attraverso TSO all’interno dei pochissimi ospedali che hanno dei reparti psichiatrici, e dopo 2 o 3 giorni tutto si risolve con una dimissione e lo scarico del problema alle famiglie. Noi promuoviamo anche l'assistenza domiciliare, che raggiunga i ragazzi e le famiglie dove vivono. E primariamente promuoviamo lo sport come strumento di cura e riabilitazione, valorizzato sia come attività quotidiana che a livello agonistico. Con lo sport si recupera stima in sé stessi e si apprendono valori che sono utili proprio per la vita sociale”.

Voi avete il polso della situazione, cosa manca per poter dare un supporto importante a chi soffre per queste problematiche?

“La prima cosa che manca? La coscienza del problema. Non si può aprire il giornale tutti i giorni e non domandarsi da cosa siano generati tanti atti, anche violenti, che fanno male ai nostri ragazzi e a chi gli sta intorno. Ma con questa voluta miopia, generata dalla non volontà di allocare anche le minime risorse adeguate, non si fa altro che ribaltare su qualcun altro la soluzione (o meglio la non soluzione) di tanti problemi. Ci rimettono praticamente sempre le famiglie. Come sempre, guardare alla realtà seriamente, per quello che è, eviterebbe costi ben più alti, quelli che paghiamo quando il problema esplode e ci tocca gestire l’emergenza. La follia è questa, allora”.

Che tipo di contributo vi prefiggete, in merito?

“Proviamo ad avere la visione integrale dei bisogni e delle attese e questo ci porta a dialogare con tutti coloro che a vari livelli possono aiutare a recuperare e valorizzare il patrimonio umano e di vissuto che ciascuno ha”.

D'accordo, ci dia un esempio...

“Tra tutte le esperienze in atto voglio citare quella avviata con il Gruppo La Cascina, attraverso percorsi di inserimento lavorativo di ragazzi con disagio o disturbo psichico, all’interno degli impianti di ristorazione collettiva gestiti da Vivenda Spa. In particolare questi percorsi passano attraverso momenti di formazione sia dei ragazzi da inserire che dei loro futuri colleghi, è il modo corretto affinchè l’ambiente di lavoro valorizzi le capacità senza che l’impegno del lavoro sia una fonte di stress o competizione. Al contrario, il lavoro diventa così il luogo dove attivare stimoli e talenti accantonati o repressi”.

Quanta è grande la difficoltà di poter "fare rete" rispetto a queste necessità?

“C’è sovente autoreferenzialità in tanti operatori del settore, la convinzione di essere migliore o almeno autosufficiente. Certe volte è comprensibile, il sistema ti porta a fare così. Ma è un limite. Si determina una scarsa attitudine a lavorare insieme o peggio un’assenza di capacità propositiva nei confronti delle istituzioni. Ma accanto a tale limite “interno” di noi operatori, c'è la difficoltà delle istituzioni a governare i processi assistenziali come una presa in carico globale. Le istituzioni sono strette tra problemi di budget da un lato e competenze degli enti che non riescono a dialogare tra loro. Ma se l’integrazione non si concepisce e realizza innanzitutto a livello di chi governa, ben difficilmente potrà nascere il nuovo modello assistenziale che serve ai ragazzi. Abbiamo avviato adesso un dialogo positivo con la Regione Lazio che ci fa ben sperare, su formazione e inclusione hanno un sincero desiderio di innovazione”.

Dato che siete tra gli organizzatori della giornata promossa dalla Diocesi di Roma, “Tutto in tutti”, le chiedo il perchè di questo titolo.

“È una giornata in un anno giubilare, il titolo è chiaramente una citazione di san Paolo. Ma laicamente diciamo che noi desideriamo che per tanti giovani e non solo l'inclusione ci sia veramente. Accogliere ci fa solo più degni. La messa del cardinale vicario di Roma ricorda una piccola santa irlandese, Dinfna, dalla sua vicenda è nato a Geel, in Belgio, uno dei modelli di accoglienza più belli che si possa immaginare. E' addirittura raccomandato dall'Unesco…”.

C'è quindi un aiuto che vi stanno dando le associazioni ecclesiastiche.

“In tutto quanto le ho detto sin qui la Chiesa di Roma e molti enti religiosi ci sono stati vicini, perchè capiscono e condividono l’esigenza di dare risposte vere. Ma, ancora di più, ci hanno messo talvolta a disposizione spazi di accoglienza per i giovani e le loro famiglie, talvolta addirittura dentro il contesto parrocchiale, dove vengono effettuate le altre attività comunitarie. Questo fa sì che questi luoghi di accoglienza del disagio giovanile siano “irriconoscibili”, perfettamente integrati nel contesto che li ospita e questo riduce la stigmatizzazione della malattia, permette ai giovani accolti di convivere con loro coetanei in uno spazio non medicalizzato”.

Questa giornata ha anche uno scopo principale, molto concreto?

“Chiamare a raccolta tutti coloro che hanno l'esperienza quotidiana dell'urlo di aiuto di una generazione portatrice di tanta fragilità. Fragilità spesso causata da occasioni perdute, o... viceversa. I nostri ragazzi non hanno bisogno di modelli che affrontino i loro problemi “frazionandoli” in tanti segmenti scollati, in cui stipare le competenze “giuste”, chiedono di essere ascoltati e accolti per quello che sono, accompagnati in un cammino che può apparirgli impercorribile. Questo si fa se ciascuno di noi fa un passo indietro per farne uno in avanti tutti insieme”.

Ma la salute mentale è l’unica fragilità di cui Medihospes si prende cura?

“Medihospes oggi rappresenta una delle più grandi realtà tra gli Enti del Terzo Settore, con i suoi oltre 5.000 operatori in tutta Italia, incontra, accoglie e cura anziani, disabili, minori, persone senza fissa dimora e richiedenti asilo, con lo stesso spirito di quando, nel 2008, un sacerdote ne incoraggiò la nascita, volendo, per questa via, prendersi carico della domanda di lavoro di alcuni giovani che ne erano privi ma, al contempo, prendersi cura di tante persone bisognose di cura e assistenza che si rivolgevano a lui per un aiuto. Oggi Medihospes, in rete con le altre imprese del Gruppo La Cascina , conserva quello spirito originale che le fa dire che la cooperativa è fatta di persone che incontrano persone”.

Il disagio dei giovani, così come è

Quando si parla di disagio e ancora di più comunità terapeutiche l’idea o spesso il pregiudizio porta a pensare a dipendenze importanti, come se il disagio, che spesso arriva anche a derive simili, sia solo dovuto all’abuso di sostanze. A fare chiarezza è lo psichiatra Santo Rullo, creatore di “Crazy For Football”, la squadra ufficiale di calcio composta interamente da pazienti psichiatrici, esperienza internazionalmente celebre, da cui è stato tratto anche il film Rai “Crazy for Football – Matti per il Calcio”.

Quanto è urgente la problematica della salute mentale dei giovani?

“Molto di più di quanto non sembri. Molte persone dopo il Covid sono state costrette a adattarsi ad un clima di isolamento sociale che ha causato molti danni alle abilità sociali dei giovani. In seguito, finita la pandemia, i ragazzi hanno avuto difficoltà a ritornare a socializzare. La solitudine è uno degli elementi cardine e uno dei maggiori fattori di rischio per la salute mentale. Per salvarci dal Covid abbiamo dovuto essere tutti un po’ più soli, oltre a percepire la morte come molto vicina”.

Questa è stata percepita molto dagli adulti… ma quanto dai ragazzi?

“Moltissimo, nessuno accetta bene l’idea della morte, ancor meno gli adolescenti che vivono un’età di grande vitalità, per quanto complessa e disagevole. In quella solitudine e con quell’angoscia i ragazzi si sono spesso rifugiati nel mondo virtuale avendo a disposizione strumenti tecnologici per affrontare la solitudine, ma così rimanendo ancora più soli. E’ come se avessero sviluppato competenze autistiche piuttosto che quelle di socializzazione. Hanno perso l’abitudine a confrontarsi tra loro e con gli adulti. Alcuni hanno avuto difficoltà a riprendere la frequenza scolastica, pur essendo precedentemente studiosi molto bravi.

Nei ragazzi quali sono i comportamenti a rischio?

“Potrei dire che tutti i comportamenti che non trovano un equilibrio diventano potenziali fattori di rischio. Si parte dall’alimentazione che è un comportamento connesso all’affettività, per cui un adolescente che vive un momento di difficoltà relazionale può smettere di alimentarsi correttamente, mangiare cibo spazzatura fino ad atteggiamenti bulimici o anoressici. O ancora problematiche relative al rispetto delle regole, con comportamenti di devianza ed aggressività, conseguenti ad un deficit delle capacità empatiche, legate ad un uso eccessivo degli smartphone o di sostanze. Poi c’è quello che noi specialisti chiamiamo l’”attacco al corpo” che parte dall’eccedere nel tatuarsi oppure farsi piercing ovunque fino ad arrivare a fenomeni di autolesionismo che molto raramente rappresentano atti parasuicidali. L'autolesionismo diventa una sorta di ansiolitico: “mi taglio, si riduce l’ansia e sto meglio”. Poi c’è la ricerca di farmaci psicoattivi o l’abuso di alcol con la finalità di perdere lucidità e stordirsi. Anche il comportamento sessuale non equilibrato è un campanello d’allarme che va dall’utilizzo smodato della pornografia che dissocia la sessualità dall’affettività fino al problema dell’identità sessuale”.

Quali sono le difficoltà che le famiglie si trovano ad affrontare?

“Fondamentalmente le famiglie sono sole. Perché c’è una grande crisi del concetto di comunità. La comunità educativa della scuola, quella religiosa della parrocchia, la comunità dello sport, l’associazionismo, i partiti politici, la comunità del vicinato sia di quartiere che di paese. Le famiglie si ritrovano in piccoli nuclei isolati che si confrontano con la complessità del loro ruolo educativo ed affettivo. Mancano opportunità concrete di condividere le esperienze tra famiglie per affrontare insieme le tematiche connesse alle difficoltà dei giovani. Bisogna sottolineare che tutte le comunità sono “terapeutiche”, che il confronto e la condivisione dei problemi è la base per superare le difficoltà”.

Uno dei problemi forse è anche il pregiudizio nei confronti della comunità terapeutica...

“Il rischio del pregiudizio quando si parla di salute mentale è sempre molto presente. Nella testa delle persone la ‘Comunità Terapeutica’ è quella per i tossicodipendenti. Le strutture residenziali dove si affrontano i disturbi psichici accolgono programmi che integrano gli interventi farmacologici, quelli psicologici e quelli psicosociali, in un contesto abitativo e relazionale di tipo comunitario. E’ chiaro che per un genitore possa essere complesso pensare di staccarsi dal proprio figlio in un momento di grave difficoltà, ma bisogna superare il pregiudizio e affidarsi alla competenza dei professionisti della salute mentale”.

Lei è il creatore di “Crazy Football” quando questo ha aiutato i ragazzi?

“Usando termini scientifici, l’attività fisica produce le stesse sostanze che vengono stimolate dagli psicofarmaci antidepressivi. 45 minuti di esercizio fisico tre volte alla settimana equivalgono alla somministrazione di un farmaco antidepressivo. L’OMS suggerisce un’ora di attività sportiva quotidiana, anche non strutturata, per una sana crescita psicofisica in età evolutiva”.

Volendo fare una provocazione, spesso lo Stato non riesce a vedere la reale problematica che tante famiglie si trovano invece ad affrontare. Si è confrontato su questo tema con il ministro Abodi?

“Il ministro ha una sensibilità personale molto elevata e sarebbe molto importante che questa diventasse una sensibilità istituzionale e di governo. Alcuni programmi sono stati avviati, come la ripresa, dopo anni, dei Giochi della Gioventù. Ritengo che sarebbe utile sottolineare l’importanza dello sport di base per i giovani, soprattutto alla fine dei tentativi di carriera agonistica. Invece molti ragazzi abbandonano la pratica sportiva per non aver raggiunto i risultati sognati. C’è un dato rilevante anche a livello economico: secondo “Sport e Salute” (la società dello Stato che promuove lo sviluppo dello Sport in Italia, ndr) si stima che la pratica sportiva produca oggi un risparmio di 1,5 miliardi di euro all’anno.

Una distribuzione più capillare di opportunità e la promozione di una cultura del movimento potrebbero portare a risultati economici ancora più rilevanti, oltre naturalmente ad un miglioramento della salute fisica e mentale dei giovani e della popolazione tutta”.

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