Il "sacrificio" di una madre e la paura di non fare abbastanza

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Il "sacrificio" di una madre e la paura di non fare abbastanza
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Quando avevo sette anni, nel lontano 1973, in seconda elementare la maestra chiese a noi bambini di comporre un pensierino per Natale, dedicato ai nostri genitori. Io ho scritto, me lo ricordo ancora a memoria: «Cara mamma, ti ringrazio per tutti i sacrifici che fai per me». Sono stata lodata dalla maestra perché, a sette anni, conoscevo una parola così difficile come «sacrificio», portata ad esempio ai miei compagni per la mia maturità; non sapeva, la mia maestra, che questa parola, sacrificio, è stata una delle prime che ho imparato. Ho avuto una mamma che ha consacrato la sua vita al lavoro, che ha scelto di avermi (è diventata madre a trentatré anni) ma che non mancava di ricordarmi, quasi tutte le mattine, di quanto dovesse correre per accompagnarmi a scuola, che sbuffava quando doveva venire a prendermi in piscina, che ha mancato la mia prima recita perché «figuriamoci se prendo un’ora di permesso!». Mio padre l’ha sempre aiutata nel ménage familiare e non è che lavorasse meno di lei. Adesso ho cinquantotto anni, ho avuto la fortuna di fare un lavoro che amo; quando mia figlia era piccola correvo anche io, come tutte le mamme, confesso che, tra me e me, ho maledetto più volte la scelta, per mia figlia, di una società sportiva all’altro capo della città, quando ero bloccata nel traffico; non mi sento una mamma perfetta, non ho fatto miracoli, ho fatto e sono, come tante, una mamma lavoratrice, ma non ricordo di aver fatto pesare a mia figlia il fatto di doverla accompagnare a scuola o a una festa. Alla soglia dei sessant’anni provo per mia mamma, ormai anziana e fragile, un rancore di fondo che non mi abbandona mai, la parola «sacrificio» quasi non la posso sentire e mi chiedo, e Le chiedo, gentile Valeria, se sono un’adulta non risolta.
Roberta R.

Cara Roberta, non so chi si possa definire risolto e neppure adulto. Ma credo che una donna in grado di scrivere una lettera come la sua abbia raggiunto entrambi i traguardi. Chi forse non si è sentita risolta ai tempi, nel doppio ruolo di madre e lavoratrice, è stata invece la sua mamma. Nel lontano 1973 non erano in molte a sdoppiarsi tra carriera e famiglia.

E magari, quella parola «sacrificio» che aveva sempre sulle labbra e che le ripeteva ossessivamente era un modo per rassicurare se stessa. Una maniera per lenire il senso di colpa nei suoi confronti e per dirsi (e per dirle) che, in fin dei conti, ce la stava mettendo tutta. Un infelice mantra dettato dal timore di non fare, in realtà, abbastanza.

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