Spaventato? Macché: incazzato. Ho la mano sinistra che mi fa ancora male: ma non è questo il punto, prima di tutto c'è la sicurezza a Milano. L'avrete già letto, ma il mestiere impone di ripetere. Un mese fa, mentre uscivo di casa in via Vallazze per andare in redazione, due ceffi mi si sono avvicinati approfittando del nascondimento offerto dalle paratie arancioni di certi lavori stradali. Uno ha tirato fuori una bomboletta, io ho reagito d'istinto e gli ho mollato un confetto di sinistro: l'ho steso. Non per eroismo, e nemmeno per vanità: per riflesso. Se sbagli mira sei fritto; se centri, salvi la giornata. Non ho denunciato: non volevo perdere tempo in verbali e udienze; errore mio. È così che si sottovaluta un fenomeno che invece è gigantesco, non tanto nei numeri che pare siano in discesa, ma se tutti facessero come me, crollerebbero addirittura - quanto nel clima che ci fa nuotare nella vita come acciughe spaventate dai pescecani. L'atmosfera della vita quotidiana non è rovinata dai diesel ma dall'insicurezza dei nostri passi. Quando succede agli altri ci si volta dall'altra parte, se accade a te capisci.
E non è la prima volta che mi è toccato esibire le nocche sulla faccia di malfattori in centro a Milano: quarant'anni fa, quando lavoravo al Corriere, un balordo stava armeggiando intorno alla mia auto, gli diedi un confetto che lo mise kappaò; poi ho patito, perché non ho mai ambito alzare le mani su chicchessia e mandare a terra la gente non è il mio mestiere. La mano che ancora oggi mi fa male non è la cosa centrale: la questione è il disagio per essere stato costretto a quell'atto, essendo lo Stato inadempiente rispetto al contratto che ho stipulato nascendone cittadino. Io non voglio esercitare la giustizia da solo; come tutti ho delegato allo Stato il monopolio della forza, anche per questo pago le tasse. Se lo Stato disattende questo patto come vedo sotto la Madonnina, e leggo accade in altre grandi città, guarda caso amministrate dalla sinistra -, chi è che deve difendere il cittadino? Io non voglio dovermi difendere da solo.
Milano è elegante, europea, efficiente, non c'è altro luogo dove amerei vivere e lavorare. Produce redditi e si lascia mungere le mammelle versando balzelli come le vacche bavaresi fanno col latte. I suoi cittadini perbene (quasi tutti) si meritano la discesa della densità di delinquenti al metro quadrato: l'accoglienza che tanto sta a cuore alla sinistra che comanda nella metropoli passa per amore ai migranti, ma produce infelicità per tutti. Le linee ultramoderne della metro dopo le nove diventano gallerie del terrore; la 90, la 91 di notte sono «off limits»: dovrebbero stabilire l'obbligo di salirvi scortati da un prete e da un pugile; dopo le cinque della sera di ieri, Ognissanti, e di ogni domenica certe stazioni assomigliano al luogo di addestramento delle bande di narcos.
Il bisogno di sicurezza, cui do voce, è un sentimento di destra? Balle. La paura non è questione di colore politico. Non credo che essere di sinistra implichi il piacere di vedersi scippati da un migrante clandestino, e votare per la destra contempli tenerezza per il rapinatore che ti punta il coltello bestemmiando in bergamasco. Bisogna spoliticizzare la tranquillità della convivenza cittadina, anzi de-ideologizzarla, trattarla come un ingegnere fa progettando gli spurghi fognari. Sul Corriere appaiono dotti commenti discettanti di Grande Milano, di città-stato, di riqualificazioni e giardini verticali: bene, bravi, bis. Intanto la gente viene aggredita sul tram orizzontale. E le lettere ai giornali (tutti!) parlano di questa esigenza concreta più che di estetica futuribile: primum vivere, deinde philosophari (tradotto: agite invece di cazzeggiare).
Io credo che la sicurezza sia un valore di destra, ma lo è perché ce lo regala la stupidità della sinistra. La sinistra ora ammette il problema. Lo fa Francesco Merlo su Repubblica rispondendo alle lettere. Ma il mio antico e stimato amico sostiene che collaborare sul tema con il governo di destra sia impossibile perché siamo razzisti. Così scrivendo e pensando, regala voti a Meloni e soci, ma soprattutto fa un favore alla delinquenza. La paura non è un sentimento coltivato dalla destra,
neppure quello del migrante clandestino: chiedetelo alle ragazze che salgono un po' tardi sui treni dei pendolari. Per ristabilire la pace nel mondo, cari Sala e Gualtieri, cominciate dal Corvetto e da Primavalle; oppure preferite mandare i vigili urbani a pacificare Gaza? È una battuta? No. È un principio elementare: prima metti ordine a casa tua, poi vai a fare il filantropo internazionale.
Abbiamo consegnato allo Stato l'arma e le leggi, e in cambio pretendiamo protezione; se ciò non avviene, la delega diventa una farsa. Legge e ordine non sono brutte parole. Non è questione di autoritarismo: è buon senso. Serve un patto serio, non retorica. Patto fra governo e sindaci, che metta mano a tre cose: polizia locale e di Stato visibile e numerosa dove la gente vive e prende i mezzi; illuminazione, telecamere e manutenzione urbana che impediscano il terreno fertile alle bande; regole chiare per i permessi e controlli sugli spostamenti dei minori recidivi. Il tutto accompagnato da percorsi veri di reinserimento, ma solo per chi risponde a programmi reali: il farabutto che non cambia va trattato con la legge, non con le parole.
Milano resta una città meravigliosa: lavora, innova, corre. Ma non può correre con il fiato corto di chi si guarda sempre alle spalle. Preferirei che la mia mano non fosse mai servita; preferirei che bastasse una divisa per sentirmi sicuro. Ma finché ottantaduenni devono cavarsela da soli sul marciapiede, vuol dire che il sistema ha mollato. Non c'è da piangersi addosso: c'è da reagire. La sicurezza non è un sogno né un capriccio ideologico: è un diritto.
Chi governa, da Palazzo Marino a Palazzo Chigi, deve tradurre questo diritto in fatti concreti e immediati. Io il mio colpo l'ho già dato. Ora tocca a loro onorare il contratto che ci lega: proteggere chi paga le tasse e vive, non lasciare il cittadino al suo destino.