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"Lo Stato non è tutto. Il terzo settore è libertà"

Parla il fondatore di "Vita" e coautore, col Papa, del libro "Io avrò cura di te", Con numeri e idee

"Lo Stato non è tutto. Il terzo settore è libertà"

Pochi mesi dopo la salita al soglio pontificio, Papa Francesco aveva avvertito che «la Chiesa non è un'agenzia umanitaria, non è una Ong, la Chiesa è mandata a portare a tutti Cristo e il suo Vangelo». In questi dieci anni in Italia, però, Francesco «scopre strada facendo il volontariato e ne capisce il valore che non consiste nel volontarismo, ma nel contributo che una scelta libera e personale può dare alla tutela della dignità umana e alla costruzione di una società più giusta e solidale». È quanto scrive Riccardo Bonacina, fondatore della rivista Vita, nell'introduzione al libro Io avrò cura di te (Solferino, pagg. 124, euro 14,50) che raccoglie alcune dichiarazioni del Papa su questo tema. Ne parliamo con l'autore del libro.

Vita, la rivista da te fondata quasi 30 anni fa, è diventata un punto di riferimento per il mondo del volontariato e per il cosiddetto Terzo Settore. Da qui le prime due domande: da quale esperienza e da quale necessità nacque l'idea di far nascere la rivista?

«Vita nasce dall'esperienza di una trasmissione televisiva, Il coraggio di vivere, in onda su Raidue dal 1991 al 1994. Era una trasmissione che raccontava la ricchezza della società civile italiana. Le organizzazioni non profit erano miei coautori in un'epoca in cui autori e conduttori tv le chiamavano solo per avere «il caso umano» da esibire davanti alle telecamere. Nei corridoi della Rai nacque l'idea di fare un settimanale, che desse rappresentazione e rappresentanza a una grande fetta della società italiana, forse pure la migliore. Poi Vita nasce da una ribellione, quella contro il modo dominante di fare il giornalista, un impiegato a cui della realtà e di chi l'abita non importa nulla e che invece insegue il politico, la gnocca, il vescovo, lo sportivo in cerca di battute e di possibili battibecchi. Invece la realtà e chi la abita sono un vero spettacolo, una miniera infinita per chi sa raccontarle».

Vita era destinata solo al mondo del volontariato o aveva un'area d'interesse più vasta?

«Ho sempre detto e lo ripeto ogni volta che ho la parola, che il non profit non è un settore ma è un modo di guardare la realtà, di fare comunità, di fare commercio, informazione, persino banca. Non profit significa che il motore della tua azione non è il profitto (che pur bisogna fare) ma una costruzione, una costruzione capace di essere casa per tutti, alti e bassi, interisti e juventini, neri e bianchi. E il volontariato non è la setta dei buoni, ma una modalità interessante di usare la propria libertà. E da questo punto di vista il Papa nei brani che raccolgo nel libro è davvero magistrale, parla di un buon uso della libertà individuale. Dice: Essere volontari solidali è una scelta che ci rende liberi; ci rende aperti alle necessità dell'altro, alle richieste di giustizia, alla difesa dei poveri, alla cura del creato. Significa essere artigiani di misericordia: con le mani, con gli occhi, con gli orecchi attenti, con la vicinanza. Essere volontari vuol dire lavorare con la gente che si serve. Non solo per la gente, ma con la gente. Lavorare con la gente».

Com'è cambiato il mondo del volontariato in questi trent'anni? Hai qualche numero da sottoporci?

«Il volontariato, l'associazionismo, il terzo settore sono stati negli ultimi trent'anni una storia di successo. Attenzione però alle crepe, perché la spinta propulsiva sembra essersi inaridita o quanto meno affievolita. Forse è il riflesso di un Paese invecchiato, intrappolato in un declino demografico che comincia a produrre i suoi effetti sia nella vitalità delle nuove imprese, sia nel campo del volontariato. La spinta alla individualizzazione di tutti gli ambiti di vita dalle relazioni affettive, familiari, al lavoro, all'uso del tempo libero - ha prima lambito e poi fortemente interessato il fenomeno dell'azione volontaria. L'Istat, infatti, ha rilevato negli anni recenti una crescita del volontariato individuale, persone che si dedicano a qualche buona causa, ma vogliono sentirsi svincolate dalle reti organizzate».

Questa è una sensazione o ci sono dati a supporto?

«I dati ci sono, e tanti. L'allarme è scattato il 10 maggio di quest'anno, dopo che l'Istat ha reso noti i risultati di una nuova rilevazione sulle istituzioni non profit che ha coinvolto un campione molto ampio, circa 110.000 realtà sulle oltre 363.000 attive. Fra i tanti quesiti posti c'era anche quello del numero dei volontari attivi in ciascun ente e le risposte ci dicono che dal 2015 al 2021 il numero delle persone che offrono gratuitamente il loro tempo e le loro capacità alle varie realtà non profit è passato da 5,52 a 4,66 milioni. L'allarme serpeggiava già in un Terzo settore sempre più in difficoltà a trovare nuovi volontari e a trattenere quelli arruolati. Ma ora l'Istat ha fornito un numero e una percentuale: quasi un milione di volontari in meno nelle organizzazioni non profit, con una perdita del 15,7%. Nel 2015 l'80% delle organizzazioni, secondo i dati Istat, poteva contare su volontari, numero che è sceso al 72% nel 2021. Il colpo di grazia è arrivato dal Covid, ma il trend era già preoccupante e il crollo viene da lontano. Certo, l'Istat interpellando le organizzazioni non vede i giovani che si mobilitano per l'alluvione in Emilia Romagna o gli studenti del Politecnico di Milano che raccolgono le foto di 20 musei ucraini distrutti o attaccati dai russi e creano il museo dei musei ucraini che vive sul metaverso».

L'aspetto ideologico ha un peso o la spinta viene soprattutto da un impeto personale?

«L'aspetto ideologico contava sino a trent'anni, le grandi organizzazioni del volontariato italiano avevano radici nel mondo cattolico o nella sinistra socialista e comunista, ma poi pian piano l'appartenenza ideologica, e persino quella identitaria (i volontari in divisa del pronto soccorso o della protezione civile) si sono smarriti. Ciò che insieme a questo si è smarrito è spesso la carica ideale e perciò l'attrattiva dell'esperienza del volontariato, e l'attrattiva c'è quando lo scopo è chiaro e l'azione concreta. Altrimenti il volontariato si riduce ad essere fornitore di servizi a basso costo per la Pubblica amministrazione».

Secondo un pregiudizio corrente il volontariato è associato ai partiti di sinistra. Oppure alle parrocchie sempre però orientate a sinistra. Puoi correggere questo luogo comune?

«È davvero un pregiudizio, spesso si confonde una ristretta cerchia di dirigenti di grandi e storiche associazioni che spendono le sigle delle loro organizzazioni schierandosi con una parte politica col volontariato. Non c'è niente di più interclassista del volontariato, ci sono persone di ogni età e condizione sociale, di ogni cultura e di ogni ispirazione. Il volontariato è uno spazio di libertà e di cittadinanza attiva e solidale, di impegno civico e di crescita personale; è un esercizio disinteressato che genera benessere e inclusione sociale, che si prende cura delle persone, dell'ambiente, del patrimonio culturale e delle arti; è uno stimolo costante allo sviluppo umano e sostenibile, è un agente di civiltà, è un'idea di futuro migliore che si fa prassi quotidiana. E che vuole interloquire con tutti».

Chi riesce a restare in Italia deve spesso alla scuola se gli si possono aprire prospettive di una vita umana. Penso sia a esperienze virtuose come la scuola Penny Wirton ma anche ai nostri scalcagnati ma utilissimi C.P.I.A. Cosa fa chi guida il Paese per aiutare il lavoro spesso durissimo di queste persone?

«Dopo una stagione di attenzione vera a queste realtà, diciamo tra il 2014 e il 2016, siamo poi tornati nella grande distrazione. Distrazione che ostacola l'impegno, siamo in un'epoca di totale statalismo, mi ha colpito la Meloni che nel suo girare l'Italia non ha ancora incontrato, dopo un anno di governo, un'organizzazione di volontariato. Né li ha mai citati a Caivano (dove sono realtà essenziali) o sul fronte delle migrazioni, o dell'educazione. Pare risolvere tutto con lo Stato, i corpi dello Stato (polizia, carabinieri, Fiamme gialle), le società statali, come Sport e salute, la Scuola, eccetera. Che errore di prospettiva per chi vuol governare, che miopia. Qualche decennio fa andava di moda uno slogan Più società, meno Stato.

Vero è che qualcuno l'ha poi corrotto in Più SpA meno Stato, ma credo che occorrerebbe tornare a quello spirito originario che fu il tema di don Giussani in un famoso intervento del 1987 a un raduno della Dc ad Assago».

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