Prosegue l'iniziativa che abbiamo battezzato il «Presepe pride». Iniziativa che ha da subito raccolto il favore dei nostri lettori. Con queste «figurine» (oggi è la volta del fabbro) il Giornale rivendica la bontà della difesa dei nostri simboli, minacciati da una cultura woke, ahinoi oggi imperante. Con questa iniziativa ci preme soprattutto sottolineare che la tutela e il rispetto delle tradizioni cristiane non cozzano affatto con la laicità dello Stato, mai messa in discussione. Semmai è l'esatto contrario. Oggi i pericoli per la difesa della libertà e della laicità dello Stato derivano dal «politicamente corretto», o meglio dalle degenerazioni nell'uso di questo strumento. Degenerazioni, ma anche abusi, che finiscono per essere un reale pericolo. Perché quando diventa dogmatismo, ideologia, fanatismo il «politicamente corretto» arriva a demolire i pilastri del nostro essere. Il presepe è una tradizione anche identitaria. In esso ritroviamo i nostri simboli e i nostri valori. E non è un caso che il padre di questo strumento di preghiera sia San Francesco, la cui ricorrenza è tornata a essere festa nazionale.
La nascita del figlio di Dio non può essere una bestemmia o un'offesa, dal momento che la sua nascita è un annuncio di pace universale. Non nominare Gesù per non offendere le altre religioni: questo sì che è una bestemmia.