C’era questa ragazzina dall’aria un po’ sfrontata, un po’ imbronciata, i capelli lunghi tagliati alla paggio, gli occhi da cerbiatto, il fisico ginnasticato di chi ha fatto molta danza, che girava per Parigi in una Fiat Cinquecento, guidava a piedi nudi, fumava cigarillos marca Che, tirava tardi la notte in locali dai nomi impegnativi, L’Aventure, Chez Régine, indossava gonne corte su gambe lunghe. Chi non ha presente cosa fosse Caroline di Monaco fra i sedici e i vent’anni non ha conosciuto la dolcezza del vivere.
Adesso che ne sta per compiere cinquanta, la generazione che è cresciuta e invecchiata insieme con lei si trova di fronte questa donna bella ed elegante, sicuramente capace, certamente volitiva, non sempre felice e/o fortunata nelle scelte, a cui il destino ha molto dato e molto tolto. Al giro di boa del mezzo secolo, paradossalmente è l’unico vero «maschio» della dinastia Grimaldi per dignità e per decoro, una immagine vera tanto quanto improbabile era l’immagine che allora incarnò.
Tutto infatti era improbabile in quella Caroline d’antan, a cominciare da un’infanzia in un palazzo da duecento stanze, con annesso zoo privato con leoncini e cuccioli di ghepardo addomesticati, figlia di un principe da Paese dei campanelli e di una madre troppo affascinante, troppo sicura di sé e troppo impegnata nel suo ruolo di principessa per rendersi conto di cosa accadesse nel mondo parallelo della normalità. Non sorprende che il gioco preferito di Caroline bambina fosse quello di fingersi povera, maltrattata, orfana...
A metà dei Settanta, la primogenita Grimaldi è maggiorenne ed è già da tempo la disperazione dei suoi genitori. Ha un debole per gli uomini più grandi di lei, ha una storia con un cantante pop nato in Martinica, sposa un finanziere quarantenne che la cornifica prima, durante e dopo il matrimonio, divorzia, si mette con un cinematografaro dal pedigree illustre, con un tennista un po’ poeta e un po’ selvaggio... Dura tutto una manciata di anni, ma per noi pressoché coetanei che li guardiamo dall’esterno e da una nazione dove il tasso di violenza, di ideologia e di precarietà è altissimo, sono, questi sì, anni formidabili. C’è lei in topless in barca, alle Maldive, in Polinesia, lei in short bianchi e infradito a Saint-Tropez, lei che entra in un locale, esce da un palazzo, fotografata mentre si diverte a una festa, a un cocktail, si annoia a una serata di beneficenza... Sempre e comunque c’è questa bellezza racée, questa giovinezza altera e disinibita, una chiostra di denti bianchissimi, un’eleganza che non sbaglia un colpo, talmente naturale da risultare quasi imbarazzante.
Poi arrivò la morte di Grace, settembre 1982, e di colpo tutto cambiò. Fu in incidente d’auto, lungo la corniche di Montecarlo, si disse che a guidare fosse la sorella di Caroline, Stéphanie, ancora minorenne, il principato diede in quell’occasione al meglio il peggio di sé: comunicati ufficiali macchinosi, l’ossessione della segretezza, il disgusto per una pubblicità non voluta e che non si sapeva bene come gestire, Ranieri che di colpo apparve come un povero vecchio, frastornato, impietrito... È allora che Caroline tornò a casa, rientrò a palazzo, prese in fondo il posto di quella madre con cui ogni confronto era stato impossibile, ma il cui ricordo sarebbe rimasto indelebile.
Non è più improbabile questa Caroline, e infatti noi che ne abbiamo seguito con trepidazione le sorti, cominciamo a interessarci alla piccola Stéphanie, che quanto a improbabilità promette bene. Il tempo si incaricherà di farci capire quanto nel primo caso ci fosse voglia di libertà e nel secondo semplice sgangheratezza. E tuttavia se scema l’interesse maschile cresce invece in progressione quello femminile, più freddo prima, quando ogni ventenne più o meno libera è comunque, consciamente o no, una rivale, caldo ora che un matrimonio, dei figli, la trasformano in un modello.
C’era questa faccia da bravo ragazzo e dal cognome così rassicurante, così lombardo, così borghese del marito, Stefano Casiraghi, c’erano questi tre figli in rapida successione, Andrea, Charlotte, Pierre, uno più bello dell’altro, c’era questa nuova Caroline che ora regnava accanto a un anziano signore stanco ma come pacificato, a un fratello che sembrava interessato solo allo sport, a una sorella che sembrava interessata solo ai coatti... Era un gigantesco spot pubblicitario, dicevano i detrattori, ma funzionava, rinverdiva le sorti di un regno che per giustificarsi aveva bisogno dell’appeal, del glamour, testimoniava la natura non aristocratica, e quindi più alla portata della gente comune, di una dinastia il cui massimo grado di popolarità era coinciso con un matrimonio in tutto e per tutto cinematografico. Da un punto di vista femminile ci si poteva insomma identificare in un’idea di famiglia felice, giovane, bene educata...
Durò meno di un decennio. Nel giovane Casiraghi di Fino Mornasco era presente una pirandelliana corda pazza all’insegna della velocità, del rischio, della competizione. La Parigi-Dakar in fuoristrada, le gare off-shore in motoscafo, una forma di compensazione forse a un’esistenza altrimenti scandita da cerimoniali fini a sé stessi, a un ruolo tutto sommato di consorte. «Nulla mi potrà convincere ad abbandonare le gare» aveva detto una volta. «Mia moglie rispetta le mie idee, io rispetto le sue. Se dovesse mai accadere qualcosa, vorrà dire che doveva succedere». Stefano il fatalista morì così, il 3 ottobre del 1990.
A trentatré anni Caroline si ritrovò sola, vedova e con tre figli. Si era volatilizzata l’immagine improbabile, era andata in pezzi quella versione un po’ Mulino Bianco da ricchi, belli, felici e innamorati e adesso c’era questa donna a cui una depressione di carattere nervoso aveva fatto perdere i capelli e che esibiva senza preoccupazione un cranio lucido... Ma veniva fuori anche un elemento tosto nel carattere, una voglia di reagire, di non guardarsi indietro, di andare comunque avanti. Stéphanie doveva essere ormai al suo terzo pescivendolo o al suo primo domatore di circo equestre, era tutto così scontato, così déjà vu: avevamo anche noi superato i trent’anni, cominciavamo anche noi a fare i primi bilanci, tornammo da Caroline.
Fu il periodo della Provenza e mai una regione si identificò con una donna come avvenne nel suo caso. Se la Saint-Tropez degli anni Sessanta fu e sarà sempre Brigitte Bardot in short e camicetta su una Porsche, la Saint-Remy degli anni Novanta fu e sarà sempre Caroline di Monaco in un vestito a fiori e su una bicicletta... Nessuna porterà mai quelli chemisiers come li ha portati lei, così semplici eppure così unici. Chi voglia capire di quali prodigi sia capace la Provenza può andarsi a vedere quel film di Ridley Scott uscito un paio di mesi fa e che si intitola Un’ottima annata: naturalmente non è un capolavoro e i critici cinematografici hanno storto il naso, ma chissenefrega, è un tale incanto di muri a secco, vigne, fiori e case in arenaria che ti ci trasferiresti domani... Quella provenzale era una Caroline malinconica ma non triste, finalmente liberata dall’ossessione e dall’odio per i fotografi, più semplice come sempre accade a chi è troppo preso a rimettere insieme sé stesso per preoccuparsi di come all’esterno ti giudicheranno. Accanto a lei fece la sua comparsa un bravo attore, più o meno coetaneo, Vincent Lindon, un po’ nevrotico a giudicare dai tic che gli attraversavano il volto e che scomparivano solo davanti alla macchina da presa, ma colto ed elegante, un richiamo e forse un ricordo di quella Parigi della Caroline improbabile che era stata.
Il resto è storia d’oggi. Lindon si fa da parte nel 1996, tre anni dopo lei sposa Ernst di Hannover, una scelta che ci rafforza nell’idea che in fatto di uomini non abbia sempre avuto le idee chiare. L’impressione è che nel calcolo costi-benefici abbiano più pesato una sistemazione familiare, il futuro dei figli, il ruolo ed il peso del principato, che non le gioie pure e semplici dell’amore, ma qui stiamo scadendo nel pettegolezzo da stampa rosa, e quindi ci fermiamo. Dopotutto, ha dimostrato di sapercela fare benissimo da sola...
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