
Antonino Labate, Vice-President Sales, Marketing & Customer Experience di Alpine, non ha dubbi: “L’obiettivo è posizionarci come high-end sport specialty brand, con l’ambizione di andare beyond the car: non solo auto, ma esperienze”.
Cosa significa nel dettaglio?
“La marca si colloca in un’area non ancora del tutto coperta, laterale al lusso premium, con una forte componente esperienziale. Per questo stiamo ampliando la nostra rete europea di partner, che per noi non sono semplici dealer, ma veri Alpine Centres. Non si limitano alla vendita di auto e servizi, ma offrono anche esperienze. L’esempio più concreto è l’Atelier, che combina quattro aree: intrattenimento (capsule collection, merchandising, trasmissione delle gare), community (i nostri clienti sono appassionati ed esperti, desiderosi di far parte di un gruppo), esposizione auto e soprattutto la personalizzazione, dal catalogo fino al one-off bespoke”.
Quanto è importante per un cliente questa possibilità di personalizzazione quasi infinita?
“Moltissimo. La differenza tra un’automobile come oggetto e “la tua” automobile passa proprio da lì. Personalizzazione ed esperienza insieme rendono il marchio unico. È un trend evidente in tanti settori, nell’automotive ancora poco sviluppato.Oggi, ad esempio, con la A110 puoi avere interni realizzati con Frau, sedili Sabelt, livree dedicate e persino sviluppi aerodinamici esclusivi. È un vero e proprio “tailor made” dell’automotive.
Facciamo un passo indietro. Cos’è Alpine?
“È una storia importante: 70 anni di passione, performance e innovazione. Fin dall’inizio ha avuto valori chiari, che oggi cerchiamo di reinterpretare: leggerezza, performance ed eleganza “alla francese”, questo savoir-faire tipicamente francese. Ognuno di questi attributi è fondamentale. La leggerezza, ad esempio, è qualcosa di assolutamente contemporaneo, non legato solo al prodotto. Non parliamo quindi soltanto del rapporto peso/potenza – storica caratteristica della marca, basti pensare alla A110 in alluminio, piccola e leggera, capace di battere auto con cilindrate molto più elevate. La leggerezza è anche un’attitudine generale della marca: significa apertura, collaborazione, connessione. La performance è un altro pilastro: dalla Formula 1, che rappresenta il nostro laboratorio di innovazione oltre che una leva di visibilità, fino alle auto di serie. E poi c’è l’eleganza francese, anticonformista, distintiva: basti guardare al mondo del fashion, dove l’ambizione è rompere gli schemi con stile e cura del dettaglio”.
Piani per il futuro?
“Nei prossimi 7 anni introdurremo quasi un modello all’anno, per un totale di 7 nuovi modelli. L’ambizione è chiara: rafforzare la presenza del marchio Alpine in Europa, riducendo la dipendenza dal mercato francese (che fino a pochi anni fa rappresentava il 70% delle vendite) e poi espandere progressivamente la dimensione globale, con priorità all’Asia (Corea, Giappone, Australia) e in seguito ad altri continenti, oggi più difficili da penetrare per motivi geopolitici e regolatori.
Quale sarà la road map dei nuovi modelli?
“Il primo è la A290, il secondo sarà la A390, uno sportback che arriverà presto in Europa. In futuro useremo una piattaforma dedicata, la APP (Alpine Performance Platform), che riprende la struttura in alluminio della A110 e sarà modulare. Il target clienti si evolverà con la gamma: la A290 attirerà i più giovani, la A390 sarà quasi una A110 elettrificata, mentre modelli futuri come la nuova A110 coupé-cabrio o la A310 2+2 si rivolgeranno a un pubblico globale e alto spendente”
A livello di mercato europeo, quali differenze notate?
Finora il mercato principale è stato quello francese, ma stiamo crescendo molto in Inghilterra, dove stiamo ampliando la rete degli Alpine Store. In Germania iniziamo a essere significativi, Spagna e Italia sono mercati interessanti ma frenati dalla lenta adozione dell’elettrico. La A290 si sta comportando bene soprattutto nei paesi francofoni, e in Inghilterra è già un grande successo”.
Come vede la transizione elettrica in Italia?
“Credo che il problema principale sia l’infrastruttura: la conformazione delle città e del territorio non favorisce i punti di ricarica diffusi.
Nei condomini è difficile installare colonnine, spesso resta solo la ricarica su strada. A questo si aggiungono fattori culturali, poca informazione e una copertura insufficiente soprattutto al centro-sud. Nelle grandi città potrebbe essere più veloce, ma nel complesso è complicato”.