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Sergio Marchionne, le auto simbolo della sua era al timone di FCA

Vediamo quali sono stati i modelli più significativi ed emblematici che hanno contraddistinto l'epopea di Sergio Marchionne in sella a FCA

Sergio Marchionne, le auto simbolo della sua era al timone di FCA
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Sergio Marchionne ci ha lasciati cinque anni fa, il 25 luglio del 2018. Il manager italo-canadese ha rappresentato per anni un totem, una figura salda alla quale aggrapparsi per dare un futuro roseo al comparto automobilistico italiano. Giunto al timone del Gruppo Fiat nel 2003, dopo la dipartita di Umberto Agnelli, Marchionne ha saputo nuotare in un mare di pescecani per quindici anni con fame e spirito battagliero. Con il suo inconfondibile pullover blu ha portato a termine l'acquisizione di Chrysler, dando vita a FCA (la sesta forza mondiale dell'industria delle quattro ruote), ha tentato una scalata ostile alla Opel (senza riuscirci) e ha governato con carisma Ferrari, succedendo a Luca Cordero di Montezemolo, dando un'impronta e una dignità rinnovate anche al reparto sportivo del Cavallino, F1 in primis. Ripercorriamo in queste righe, quelle che sono state le vetture più simboliche della sua epoca in sella al Lingotto.

Il rilancio di Jeep

Jeep Grand Cherokee
Jeep Grand Cherokee

Quasi stucchevole rammentare come, tramite la fusione con Fiat, il Brand Jeep abbia avuto un successo fragoroso, specialmente in Italia, come mai prima di allora. L'operazione condotta da Sergio Marchionne e che ha portato alla fondazione di FCA (Fiat Chrysler Automobiles), ha prodotto benefici non indifferenti soprattutto a questo Brand, che ha conservato la sua anima fuoristradistica pura e ha aggiunto una faccia che mancava, quella alla moda. Jeep è riuscito a iscriversi in una dimensione trasversale, capace di tenere in casa i clienti che già c'erano, abituati agli offroad duri e crudi, ma abbracciandone di nuovi grazie a modelli più pratici e versatili. I due prodotti più simobici, nati sotto l'egida Marchionne, sono senza dubbio il Grand Cherokee e il Renegade. Il primo è quel veicolo che ha sancito l'inizio del matrimonio (nel 2009) e che ha permesso la riapertura delle fabbriche di Jefferson (USA), dopo un lungo periodo di stop. In quell'occasione fu presente anche l'allora presidente statunitense Barack Obama, compiaciuto per l'obiettivo raggiunto dai nuovi vertici. Questo SUV, tanto abile tra la polvere e il fango, quanto gagliardo sulle strade di tutti i giorni, ha saputo interpretare al meglio il nuovo corso. Renegade, invece, è l'immagine più sbarazzina, giovanile ed europea di Jeep. Prodotta a Melfi, in Italia, condividendo il pianale con la Fiat 500X è divenuta un fenomeno di tendenza che prosegue ancora adesso, senza pausa di riflessione. Un bel mix tra i connotati classici del marchio e una ventata di aria fresca.

La famiglia 500

Fiat 500

La rivoluzione di Marchionne in casa Fiat ha toccato ogni segmento operativo, compreso quello del prodotto. Inutile girarci intorno, nei quindici anni trascorsi negli uffici di Torino da parte del manager italo-canadese, il modello più simbolico è indubbiamento la 500. La versione del nuovo millennio, ispirata all'iconica utilitaria degli anni Sessanta, ha dato una spinta propositiva non indifferente all'immagine sbiadita della Fiat degli inizi del Duemila. Inoltre, dalla piccola citycar è nata una famiglia di veicoli decisamente interessante, comprensiva della pratica e spaziosa 500L, passando per la fascinosa e modaiola 500X, primo crossover/SUV della storia del Lingotto. Anche il rilancio di Abarth, anima sportiva e corsaiola del Brand, ha avuto la sua determinante importanza. Marchionne conosceva il potenziale di Fiat, che ha fatto tornare anche negli Stati Uniti dopo tanti decenni di assenza. Il piano originale, tuttavia, non ha seguito un andamento regolare e le cose non sono andate come sperato.

Il Biscione sopra tutto

Alfa Romeo Giulia
Alfa Romeo Giulia

Marchionne ha dimostrato di avere a cuore un Brand sopra tutti gli altri: Alfa Romeo. I piani aziendali che, nei vari anni, si sono susseguiti volgevano verso un'unica direzione, quella di restituire al Biscione la grandezza e i fasti di un tempo. Dopo tanti anni di prodotti che hanno immancabilmente indebolito il prestigio della Casa di Arese, Marchionne aveva varato un rilancio in pompa magna dell'Alfa. I simboli di questa avventura sono, prima di tutto, la 4C che ha permesso al costruttore italiano di rientrare a misurarsi negli States dopo vent'anni di assenza, facendolo con un'auto seducente e sportiva, ma soprattutto Giulia e Stelvio. La berlina è l'auto che tutti gli "alfisti" sognavano da oltre trent'anni, con il ritorno all'agognata trazione posteriore e le doti stradali fuori dal comune, al pari (se non meglio) delle vetture premium tedesche. Stelvio, costruito come Giulia sulla mirabile piattaforma Giorgio, è il primo SUV del marchio e doveva rappresentare il grimaldello per forzare la porta d'accesso al tavolo dei grandi. Infine, con Marchionne l'Alfa Romeo è tornata, seppur in modo marginale, in Formula 1. Anche in questo caso le premesse sono state disattese e il rilancio è rimasto sospeso a metà.

Era Marchionne: la mortificazione di Lancia

Lancia Thema
Lancia Thema (2011)

Lancia è un marchio che all'estero non possiede appeal. Questo fu il sunto di un famoso discorso pronunciato da Marchionne, quando dai piani alti di FCA si decise di tagliare il ramo più secco di tutto l'albero. Una bugia, forse, detta a fin di bene, ma che ha segnato la recente storia di un marchio blasonato, in grado di scrivere alcune delle più grandi pagine dell'automobilismo. E non stiamo parlando solo di rally, che meriterebbero un capitolo a parte. Dopo l'oltraggio a costo zero di ricarrozzare le Chrysler con l'effige del Brand torinese (Flavia, Voyager e Thema su tutte), scelta che ha causato un danno di immagine notevole, la Lancia è stata relegata sotto a una campana di vetro, un singolo mercato (l'Italia) nel quale operare con un unico modello, la Ypsilon. La citycar "chic" è l'ultima superstite della grande dinastia Lancia, probabilmente il peggior modello al quale affidare questo ingrato compito. Tra le grandi operazioni di Marchionne, questa resta senza ombra di dubbio la peggiore, fatta - probabilmente - sull'altare di un bilancio instabile.

Ai posteri l'ardua sentenza.

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