Cronaca locale

"Gli autonomi in casa e devo pagare le spese"

Una coppia alle prese da 20 anni con un incubo: il loro appartamento in via Dei Transiti è occupato da un centro sociale. Loro sono obbligati a sostenere i costi di condominio, tasse e lavori di ristrutturazione. E nessuno interviene per difenderli

Quelli là hanno anche la faccia tosta di chiamarsi compagni. Di riempirsi la bocca di parole come «lavoratori, diritti, operai». Di spacciare la storiella che difendono «i deboli» e gli «spazi sociali». In realtà quello che da quasi 20 anni hanno inferto a Maddalena e Basilio Mura è un furto. Continuato e moralmente aggravato. Il furto della loro casa. Di quel piccolo appartamento che nel 1991 questa coppia ha comprato con i sacrifici di una vita e l’aiuto del padre. Una casa in cui investire i risparmi messi da parte in 30 anni di lavoro. Da operai. A Milano prima, ad Arcore poi.
L’appartamento, 70 metri, è in via Dei Transiti, a Milano, all’angolo con viale Monza. Un indirizzo maledetto, anche se loro non lo sapevano. In quello stabile al civico 28 si è insediato da anni un centro sociale. Un collettivo di autonomi, no global e compagnia varia. Gente da cui stare alla larga, di cui spesso si è trovato traccia nelle vicende dell’autonomia rossa. Gente che in qualche modo sta anche nella loro casa, dopo che ha avuto - chissà come - la chiave.
E l’aspetto paradossale di tutta questa vicenda, ormai un incubo, è che loro - i legittimi proprietari - devono pagare le spese a questi abusivi, violenti e impuniti. Per non «rinunciare» alla loro proprietà. Le spese di condominio, intanto, l’Ici, e adesso anche la ristrutturazione dell’immobile. Spese ingenti, che non sanno neanche come sostenere, e che si aggiungono a quelle «normali» di una vita semplice, da pensionati. Le spese per curare i loro acciacchi, per esempio, e qualcosa di più.
Lui. Basilio, ha 59 anni. Tempo fa si è ammalato seriamente. Ora sta meglio. Ma deve sottoporsi ai controlli. Lei, Maddalena, 55 anni, ha pagato anche sul piano nervoso l’ansia subita in tutti questi anni. È crollata: ricoverata per 10 giorni. E poi l’avvocato. Le spese legali. Da 20 anni è alle prese con il loro caso. Non sa più a che santo votarsi: «Manca solo la Corte europea dei diritti dell’uomo», dice. I risultati ottenuti? Nessuno. L’ufficiale giudiziario ogni 3 mesi passa da lì. Ma senza la forza pubblica non può far niente, solo rinviare. E rinvia. Ogni 3 mesi. Dentro una busta Maddalena e Basilio hanno una collezione di carte bollate con i timbri del rinvio. Il prossimo è già fissato per il 10 febbraio: «Speriamo, stavolta...», sospira lei.
Maddalena e Basilio 20 anni fa non ne sapevano niente del centro sociale. Ma da allora in quella casa non ci hanno neanche messo piede. E quando ci hanno provato sono stati minacciati. Eppure sarebbe utile. Hanno due figlie adulte oramai. Una si è sposata, l’altra lo farà fra poco. Avrebbero potuto viverci loro in via Dei Transiti. Invece no. Ci sta qualcun altro. Non sanno neanche bene chi. Gente «pericolosa». Questo lo ha detto il Comune. Ufficialmente. Tre anni fa. Rispondendo a una loro lettera - una delle centinaia che hanno scritto - il Comune ha scritto, su informazione della Polizia locale, che lì in via dei Transiti è «insediato da anni un importante e pericoloso» centro sociale, e che quindi «un eventuale sgombero» è «di competenza e deve essere coordinato dalla Digos». Come dire: meglio non smuovere le acque.
Il copione è sempre il solito, insomma, ma stavolta la sceneggiata vira verso il dramma. Perché c’è di mezzo una casa. Non un capannone dismesso. E perché è toccato a due persone normali. «Se fossimo ricchi e importanti avremmo già avuto una soluzione - dicono - se fosse successo a qualche mafioso avrebbe risolto la cosa a modo suo, ma noi che dobbiamo fare? Legarci con le catene alla casa?». O «farci giustizia da soli?», immagina Basilio, subito ripreso dalla moglie. Quando lui era ammalato ci ha provato ad andar lì in via Dei Transiti. Per capire chi aveva di fronte. È arrivato allo scontro, solo verbale. «Mi hanno detto che li stavo minacciando». Alla fine la cosa insopportabile, oltre al senso di ingiustizia, è il «rimpallo» da un’istituzione all’altra. «Comune, prefettura, questura. Tutti ci dicono che non tocca a loro».

E la preoccupazione più intima è ancora peggiore: «Se non paghiamo le spese di quella nostra casa che non abbiamo mai visto possono toglierci questa in cui viviamo?».

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