Avatar? E' nato sotto gli oceani e a bordo delle missioni Nasa

Il regista Cameron spiega Cameron. La natura è il più misterioso dei mondi: decenni di immersioni e un viaggio alla stazione orbitante hanno scatenato la fantasia

Avatar? E' nato sotto gli oceani e a bordo delle missioni Nasa

Per gentile concessione di Sky, pubblichiamo uno stralcio della Ted Conference del regista James Cameron, in onda in prima tv lunedì prossimo su Music Box (Sky,canale703) alle ore 23 (replica alle 00.30). Il pluripremiato regista racconta cosa lo ha spinto a girare capolavori quali «Terminator», «Titanic» e «Avatar» 

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di James Cameron

Sono cresciuto a dieta rigorosa di fantascienza. Alle superiori prendevo uno scuolabus, un’ora avanti e indietro ogni giorno. Ed ero sempre immerso in un libro, un libro di fantascienza, che portava la mia mente in altri mondi, e soddisfaceva, in forma narrativa, quell'insaziabile senso di curiosità che avevo.
E quella curiosità si manifestava anche nel fatto che ogni volta che non ero a scuola ero fuori nei boschi, per escursioni a caccia di campioni, rane e serpenti e insetti e stagni, li portavo a casa, li osservavo al microscopio. Ero un vero geek della scienza. Ma si trattava sempre di cercare di capire il mondo, comprendere il limiti del possibile.

E il mio amore per la fantascienza in realtà sembrava rispecchiare il mondo intorno a me, perché quello che stava succedendo, nei tardi anni ’60… stavamo andando sulla luna, esploravamo le profondità degli oceani, Jacques Cousteau entrava nei nostri salotti con i suoi fantastici documentari che ci mostravano animali e luoghi e un mondo meraviglioso che prima non avremmo neanche potuto immaginare. Quindi, tutto sembrava rinforzare la mia passione per la fantascienza. (...)

Ed è successa una cosa interessante, i programmi di Jacques Cousteau mi coinvolgevano molto per il fatto che c'era un mondo alieno proprio qui sulla terra. Magari non sarei mai andato in un mondo alieno su una navicella spaziale. Sembrava molto improbabile. Ma quello era un mondo dove potevo andare per davvero, proprio qui sulla terra, più ricco ed esotico di quello che avrei mai potuto immaginare leggendo questi libri.
Da allora, negli ultimi… 40 anni, ho trascorso circa 3000 ore sott'acqua, e 500 di queste ore in sommergibili. E ho imparato che le profondità dell'oceano, anche gli oceani poco profondi, sono ricche di vita sorprendente che realmente va al di là della nostra immaginazione. L’immaginazione della natura è senza confini rispetto alla nostra limitata immaginazione umana. Ancora oggi, sono intimorito da quello che vedo quando faccio le immersioni. E la mia storia d'amore con l'oceano continua, più forte di quanto non lo sia mai stata.

Ma quando ho scelto una carriera, da adulto, ho scelto di fare film. Sembrava essere il miglior modo per conciliare questa smania di raccontare storie con la smania di creare immagini. E, da ragazzo, disegnavo costantemente fumetti e così via. Quindi fare film era l'unico modo per mettere insieme immagini e storie. Tutto tornava. E ovviamente le storie che ho scelto di raccontare erano storie di fantascienza: Terminator, Aliens e The Abyss. E con The Abyss, mettevo insieme il mio amore per le profondità e le immersioni, con la realizzazione di un film. Quindi, fondere le due passioni.
Da The Abyss è venuto fuori qualcosa di interessante che era risolvere uno specifico problema narrativo in quel film, cioè creare quella sorta di creatura d'acqua liquida… abbiamo adottato l'animazione generata con il computer. E così è nato il primo personaggio a superficie morbida e animato a computer che si fosse mai visto in un film. E anche se il film non ha fatto molti soldi, direi che a malapena si è ripagato, sono stato testimone di qualcosa di straordinario, tutto il pubblico era ipnotizzato da questa apparente magia.

Sapete, è la legge di Arthur Clarke secondo cui ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia. Stavano vedendo qualcosa di magico. E questo mi ha emozionato molto. E ho pensato: «Fantastico, questa è una cosa che deve essere adottata nell’arte cinematografica». (...) Allora, ho scritto questo testo intitolato Avatar con l’intenzione di spingere al massimo sugli effetti visivi, generati al computer, con personaggi umani emotivi e realistici generati al computer, e tutti i personaggi principali generati al computer e l'intero mondo generato al computer. E il tutto è stato rimandato al mittente. I ragazzi della società mi hanno detto che non saremmo stati in grado di farlo per un pò.

Così, l'ho accantonato e ho fatto questo film di una grossa nave che affonda. (Risate, ndr) Allo studio l'ho buttata lì come un «Romeo e Giulietta su una nave». Sarebbe stata una storia d’amore epica, un film passionale. Segretamente, quello che volevo fare era immergermi per vedere il relitto del «Titanic». Ecco perché ho fatto quel film. (Applausi, ndr) Ed è la verità. Lo studio non lo sapeva. Ma li ho convinti. Ho detto: «Ci immergeremo verso il relitto. Lo riprenderemo dal vivo. Lo useremo per l'inizio del film. Sarà molto importante. Sarà un gancio di marketing fantastico». E li ho convinti a finanziare una spedizione. (Risate, ndr)

Allo stesso tempo mi stavo interessando molto anche alla scienza spaziale, ancora una volta, è l'influenza della fantascienza, da ragazzo. E sono finito nell'ambiente spaziale, veramente coinvolto con la NASA, seduto nel consiglio consultivo della NASA, a pianificare missioni spaziali, andare in Russia, passare per il protocollo biomedico del pre-cosmonauta, e tutte queste cose, fino a volare alla stazione spaziale internazionale con le nostre telecamere 3D. È stato affascinante. Ma quello che ho finito per fare è stato portare gli scienziati spaziali con noi negli abissi. E portarli giù perché potessero avere accesso… astrobiologi, scienziati planetari, gente interessata a questi ambienti estremi, portarli giù e permettere loro di vedere, prendere campioni, testare strumenti e così via. (...)

E quindi eccomi qui ancora una volta con un piccolo gruppo, in territorio inesplorato a fare Avatar con tecnologie nuove che non esistevano prima. Terribilmente emozionante. Tremendamente impegnativo. E siamo diventati una famiglia, nell'arco di quattro anni e mezzo. E ha cambiato completamente il mio modo di fare film. La gente ha commentato dicendo che ho preso gli organismi dall’oceano e li ho messi sul pianeta Pandora. Per me, era l’essenza del modo di fare business, il processo in sé, che era cambiato.

Cosa possiamo trarne allora? Quali sono le lezioni che abbiamo imparato? Credo che la prima sia la curiosità. È la cosa più potente che possediamo. L'immaginazione è una forza che può realmente manifestare una realtà. E il rispetto del gruppo è più importante di di tutti gli allori del mondo.

Giovani registi vengono da me e mi dicono: «Dammi qualche consiglio per fare questo». E io rispondo: «Non ponetevi limiti. Altre persone lo faranno per voi, non fatelo da soli, non scommettete contro voi stessi. E correte rischi».

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