Avrebbe compiuto cent’anni

La vera laurea Giulietta Simionato l’ebbe alla Scala (2 ottobre 1947) quando debuttò finalmente da protagonista nella Mignon di Ambroise Thomas. Dirigeva Antonio Guarnieri e le erano accanto il tenore Giuseppe Di Stefano e il basso Cesare Siepi. Non c’è da aggiungere altro. Passare con un simile entusiasmo alla Scala, dopo anni di anticamera comprimariale affrontati con il tirocinio dell’umiltà degno della futura grande artista che poi sarebbe diventata, era la consacrazione. Il «Pippo» nazionale e la «Giulietta» divennero i beniamini fra i più amati della Scala.
Il Massimo teatro italiano di allora avviava nel secondo dopoguerra una nuova stagione, grazie all’apporto di un gruppo di giovani leve straordinarie. Di lì a poco Giulietta avrebbe condiviso il palcoscenico con il fenomeno Maria Callas, della quale era e rimase ammiratrice e amica fedele. Insieme diedero l’avvio alla Donizetti-Renaissance con la celebre riesumazione (1957) dell’Anna Bolena di Donizetti, dove lo splendore vocale della sua Giovanna Seymour traeva forza, eguagliandola, dalla sublime figura tragica della Diva Maria. Nella sua lunga carriera la Simionato collezionò molti primati, oltre a quello di essere per almeno vent’anni la regina della chiave di mezzo soprano. Tanto da far scrivere, dopo un’edizione di Orfeo ed Euridice di Gluck al Festival di Salisburgo (1959), al critico austriaco Franz Endler: «La Simionato regna sovrana sulla scena enorme: la sua voce meravigliosa empie di sé l’animo e l’ambiente». Alla Scala è ancora non raggiunto il record di durata degli applausi dopo un duetto. Accadeva negli Ugonotti di Giacomo Meyerbeer. Accanto allo stentoreo e travolgente Raoul di Franco Corelli, nel ruolo di Valentina di Sant-Bris la Simionato si superò, ascendendo ad un ruolo, per dirla coi francesi, proprio del soprano-Falcon, per dirla coi francesi. L’entusiasmo del pubblico toccò una temperatura ancor oggi ineguagliata.
Nonostante il favore delle folle, quello che chiamiamo successo, Giulietta rimase la meravigliosa persona dei primordi. Che per la cronaca durarono a lungo. Il tutto iniziò nel giugno del 1933 al Teatro Comunale di Firenze in un concorso internazionale di canto dove gli esaminatori, presieduti da Umberto Giordano, si chiamavano Tullio Serafin, Rosina Storchio, Salomea Krusceniskj, Alessandro Bonci. E qui occorre un inchino. Con uno schieramento di competenze così illustri non c’era posto per l’errore. Non citiamo i ruoli dove Giulietta Simionato emerse, perché in tutti fu sempre ineccepibile. E ora trascriviamo parole sue: «Se io non esco da me stessa per avvicinarmi il più possibile al fantasma creato dal musicista nessuno mi crederà. Il pubblico vedrà semplicemente Giulietta, là dove dovrebbe vedere Orfeo, Amneris, Carmen, Adalgisa. Per quel che mi riguarda, al momento giusto, tre cose scattano: cervello, voce e cuore.

Le creature che sono chiamata a interpretare risultano così radiocomandate in ogni momento». Una ricetta semplicissima, ma difficile da eseguire. Giulietta Simionato l’eseguì, per la gioia di noi tutti. Ed oggi col dolore nel cuore per la morte di un’artista di irripetibile grandezza.

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