Roma - La caduta dell’Impero romano nel 476 non fece molto rumore e in pochi in Italia si accorsero della deposizione di Romolo Augustolo e dell’ascesa dei Goti. Un’eventuale caduta dell’imperium di Romano Prodi nel 2008, invece, potrebbe destare molto più clamore, soprattutto tra coloro che ambiscono a entrare nei palazzi del potere diventando manager di importanti aziende controllate dallo Stato come Eni, Enel o le Poste. E che dire di coloro che potrebbero beneficiare del valzer di poltrone in Rai o che ambiscono alla presidenza di Generali che è privata, ma sulla quale una «raccomandazione» di Palazzo Chigi peserebbe? Una prematura fine dell’esecutivo lascerebbe quest’esercito in preda allo sconforto.
I giorni dell’Iri Sin dall’insediamento del Professore si sapeva che lo spoil system non sarebbe stato considerato un aspetto secondario nell’esercizio del potere. Prodi si è circondato di «fedelissimi» che lo seguono dall’epoca della presidenza Iri. Da Silvio Sircana per la comunicazione ad Angelo Rovati e Daniele De Giovanni per le funzioni di staff fino al sottosegretario all’Economia Massimo Tononi, il premier ha sempre potuto contare su un manipolo pronto a trasformare il suo pensiero in azione. Il passo successivo è stato il lento ma inesorabile avvicendamento di amministratori «made in Via Veneto» nei posti-chiave delle aziende statali.
Il primo in ordine cronologico è stato Pierpaolo Dominedò, nominato ad di Patrimonio dello Stato. Poi l’ex-Iri Pietro Ciucci è stato chiamato a presiedere l’Anas targata Di Pietro. Più difficile la gestazione del caso-Rai dove il neo-dg Cappon, pur proveniente dall’ex holding pubblica, non era inizialmente gradito al premier. Ma il Tg1 è subito stato assegnato a Gianni Riotta, mentre Maurizio Braccialarghe è stato prima indirizzato al Personale e poi alla concessionaria di pubblicità Sipra.
Perché non cade Spaccature della maggioranza ed emergenze varie non hanno determinato il tramonto dell’esecutivo perché il premier ha saputo in qualche modo accontentare un po’ tutti quando si è trattato di assegnare posti di rilievo come le Ferrovie al diessino Mauro Moretti o Cinecittà Holding ai rutelliani Battisti e Carducci senza tralasciare il coté rosso-verde che si è dovuto «accontentare» del sottobosco governativo. Va da sé che nei momenti di crisi è il Professore che avoca a sé tutti gli incarichi come nel caso Alitalia re-irizzata con Maurizio Prato. Ma si può far cadere un presidente del Consiglio così attento agli equilibri da poter scrivere un nuovo manuale Cencelli?
Avanti, c’è posto! Nella prossima primavera sono in scadenza ben sette consigli di amministrazione di società a maggioranza pubblica. Un’occasione troppo ghiotta per sprecarla facendo cadere il governo. Si tratta di 7 presidenti, 7 amministratori delegati e oltre 50 consiglieri di nomina esclusivamente politica. Eni, Enel e Finmeccanica sono società quotate e un blitz è difficile. Gli attuali ad (Scaroni, Conti e Guarguaglini) sono ben visti dal mercato e soprattutto dai fondi, ma c’è margine di manovra con le presidenze. Piero Gnudi, presidente Enel, proviene dall’Iri e nei palazzi si mormora di un suo passaggio alla presidenza Eni dove siede da sei anni Roberto Poli.
A Finmeccanica, invece, è derby per un incremento delle deleghe tra il direttore generale Giorgio Zappa e il condirettore generale Alessandro Pansa. In ribasso le quotazioni della rentrée di Giuseppe Bono, attualmente a Fincanteri. Senza «paracadute» invece gli attuali vertici delle Poste presiedute da Vittorio Mincato e guidate da Massimo Sarmi che già si vede insidiato da Giovanni Ialongo (Ipost) e Guido Pugliesi (Enav). Idem per il tandem Roth-Cattaneo a Terna e per Tirrenia. In estate, poi, ci sarà la madre di tutte le lottizzazioni con la nomina del nuovo cda Rai.
Spalle coperte Un tema sul quale sicuramente il leader del Pd, Walter Veltroni, ha già cominciato a riflettere è la necessità di tessere una tela di alleanze economico-finanziarie in grado di controbilanciare il potere prodiano. Non sarà facile. Il Prodi-bis ha consegnato agli annali due maxifusioni bancarie nate con la «benedizione» di Palazzo Chigi: Intesa Sanpaolo (guidata dai prodiani Bazoli e Passera e dal diessino Modiano) e Unicredit-Capitalia consegnata nelle mani del non ostile Alessandro Profumo. La querelle Telecom si è poi risolta con il ritorno di un boiardo di Stato come Franco Bernabé.
C’è solo un supermanager che è rimasto in «panchina»: l’ex Goldman Sachs Claudio Costamagna, amico di vecchia data del premier e in odore di presidenza Generali al posto di Antoine Bernheim. Se questo tassello non dovesse incastrarsi, la partita Eni-Enel, potrebbe non chiudersi come previsto. Sempre che gli equilibri del mondo bancario (soprattutto in Intesa) restino inalterati.
Infine una curiosità: è dai tempi della presidenza Abete che la corsa a Confindustria non registrava una candidatura solitaria, quella di Emma Marcegaglia. Per le vicepresidenze conteranno anche i buoni auspici della politica.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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