La crociata della Procura di Milano contro il caporalato nell'alta moda continua. A guidarla è il pm Paolo Storari che ha messo nel mirino altri 13 grossi gruppi: Dolce & Gabbana, Prada, Versace, Gucci, Missoni, Ferragamo, Yves Saint Laurent, Givenchy, Pinko, Coccinelle, Adidas, Alexander McQueen Italia e Off-White Operating.
L'inchiesta si è allargata in queste ultime ore: nella tarda serata di mercoledì, infatti, i carabinieri del nucleo per la Tutela del lavoro hanno fatto irruzione nelle sedi aziendali. Le accuse ricalcano quelle già contestate ad altri brand, come Tod's, sempre da Storari. E anche in questo caso alle società è stata chiesta la documentazione che attesti l'effettuazione di controlli su sicurezza e legalità lungo la filiera (modelli di audit, bilanci, elenco di fornitori e subfornitori). Nell'arco di pochi giorni le griffes dovranno quindi fornire agli inquirenti quanto richiesto, e, su quella base, la procura valuterà quali richieste avanzare al giudice: se un'amministrazione giudiziaria, sulla base del Testo unico antimafia, o un'accusa vera e propria di caporalato, sulla base della legge 231. Nelle richieste di consegna della documentazione, per poi effettuare gli accertamenti necessari, il pm dà conto che dai filoni di inchiesta su altri colossi della moda «sono emersi episodi di utilizzo» di lavoratori cinesi sfruttati in laboratori o opifici-dormitorio, dove sono stati trovati anche prodotti dei marchi ora finiti sotto ai riflettori. L'obiettivo di Storari è «appurare il grado di coinvolgimento nell'utilizzo della manodopera sfruttata» negli opifici ispezionati dai carabinieri e l'«idoneità dei modelli organizzativi» adottati dalle società per i controlli sulla filiera di appalti e subappalti nella produzione. Una decina delle 13 aziende è già pronta a collaborare. La Procura milanese si era già occupata anche di casi simili che hanno riguardato Alviero Martini, Armani Operations, Dior, Valentino e Loro Piana e che hanno portato ad amministrazioni giudiziarie, alcune delle quali già revocate. Tra fatturati, ricavi e valore della produzione, tutte e tredici le maison valgono circa 12,4 miliardi. Anche per questo Confindustria Moda e Confindustria Accessori Moda ieri hanno diffuso un comunicato in cui si dichiarano «pienamente allineate sulla necessità di contrastare con fermezza ogni forma di illegalità lungo la catena del valore del settore» ma «chiedono equilibrio, responsabilità e rispetto del lavoro di migliaia di imprese e centinaia di migliaia di lavoratori, affinché la doverosa lotta all'illegalità non si trasformi in un mero spettacolo mediatico, atto a procurare un danno irreparabile a una filiera che contraddistingue il valore del Made in Italy nel mondo». Le associazioni esprimono, dunque, «forte preoccupazione per la crescente spettacolarizzazione mediatica». Il rischio, infatti, non è solo giudiziario: un eventuale commissariamento o provvedimento interdittivo potrebbe impattare governance, piani industriali, rating esg e percezione dei mercati.
Di fronte alle inchieste della procura meneghina, alcune maison potrebbero inoltre decidere di spostare la propria sede legale da Milano.Intanto, ieri Dario Vitale ha lasciato l'incarico di direttore creativo di Versace.