RomaA Palazzo Grazioli non si gradisce molto la teoria del «cinepanettone». Per carità, niente a che vedere con le pellicole di Christian De Sica o Massimo Boldi, anche perché, per adesso, cè poco da ridere. La questione è politica, se tra gli uomini più fidati del Cavaliere, quelli che ogni giorno sfornano il noto Mattinale, il documento che approfondisce i principali temi sul tappeto e dà in qualche modo la linea a parlamentari e dirigenti pidiellini (sponda azzurri), sembra essere nato un sospetto. Un punto interrogativo sulleditoriale di Carlo Calenda e Andrea Romano, pubblicato sul sito della fondazione di Luca Cordero di Montezemolo, Italia futura.
Ma andiamo con ordine. Il commento in questione, su Internet da giovedì scorso e posizionato a corredo di un sondaggio ad hoc commissionato a Swg, partiva così: «Ciak, motore, azione! La politica italiana somiglia ogni giorno di più ad un cinepanettone. Il format è sempre uguale, gli attori sono gli stessi, le battute anche, ma il pubblico continua a comprare il biglietto». Qualche riga più giù, il punto dolente: «Lastensione è generalmente considerata, a ragione, una manifestazione di qualunquismo», ma «viene da pensare che se vi fosse una sua crescita e se aumentasse il numero degli italiani decisi ad esercitare il diritto individuale al non voto, ciò potrebbe rappresentare un impulso utile ad un auspicabile rinnovamento del copione. In questo caso sarebbe difficile biasimare gli astenuti... Perché in fondo siamo noi che, pagando puntualmente il biglietto, consentiamo a questo brutto spettacolo di andare ancora una volta in scena». Parole difficili da digerire - per i berlusconiani, impegnati nel motivare invece gli elettori Pdl - che fanno scopa (sarà una coincidenza) con lintervento sul Riformista di Alessandro Campi, direttore scientifico di Farefuturo, la fondazione di Gianfranco Fini: «Non votare, a questo punto, sarebbe un atto di civile protesta, che nessuno potrebbe biasimare».
Provocazioni legittime, ci mancherebbe. Ma anche un messaggio pericoloso, per lentourage di Silvio Berlusconi, che al sesto capitolo del Mattinale numero 50, redatto due giorni fa, titola in modo eloquente: «Primo impegno: votare. E la vittoria verrà». Vabbè, si dirà, ognuno porta acqua al proprio mulino. Ma forse è per questo che a via del Plebiscito pare abbiano alzato le antennine. È nero su bianco, a pagina 14: «Il diritto sacrosanto al voto ed alla rappresentanza elettorale non è una nostra pretesa», ma si tratta di «un principio che lo stesso capo dello Stato aveva riconosciuto e fatto proprio». Detto questo, si deve «andare a votare, inoltre, perché i molti spettatori interessati - dalla stampa finanziaria internazionale a certi settori della grande industria - hanno ripreso a svolazzare sulla politica italiana, pretendendo di decidere loro da chi e come dovremmo essere governati».
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