Da primi a ultimi. Le favole non possono durare in eterno. Neanche nel calcio, anzi specialmente nel calcio dove pure non esistono, per definizione, imprese impossibili. E quella di ieri sarebbe stata la più ordinaria delle imprese: passare il turno con la Slovacchia, sbarcando agli ottavi andando incontro ad un probabile «liscio e busso» con l’Olanda. Quattro anni, a far data dalla notte tenera di Berlino 2006, sono un tempo sufficientemente lungo per vivere le favole, utilizzato poco e male nel tentativo, disperato, di duplicare la magia riuscita a Duisburg. Si è chiusa ieri, nel tramonto precoce di Johannesburg, la favola del calcio italiano cominciata quattro anni prima, nella notte magica di Berlino durante la quale un plotone di arditi calciatori in maglia azzurra, guidati da un ispirato condottiero, riuscirono a stregare il mondo e ad alzare al cielo di Germania la coppa del mondo soffiandola sotto gli occhi di Domenech e della Francia intera. Non se l’aspettava nessuno e molti rimasero stregati dal trionfo dimenticando che non siamo mai stati, nel frattempo, il calcio più forte del mondo. Anzi, proprio in quegli stessi anni, come ha dimostrato l’europeo successivo, in Austria e Svizzera, è cominciato un lento declino plasticamente confermato e sconvolto dal recentissimo trionfo dell’Inter tutta straniera in Champions league.
Le favole non possono durare in eterno ma possono e devono finire in un modo più dignitoso. E invece l’Italia 2010 di Lippi, per il congedo, ha scelto un passo disonorevole perché non è riuscita a vincere nemmeno una delle tre partite del girone di qualificazione, ultima è finita con 2 punti miseri. E forse non è questa la vergogna peggiore da conservare in valigia prima di tornare a casa. Non è riuscita a vincere neanche l’ultima, la decisiva, al cospetto della Slovacchia, pigra e contratta nelle precedenti esibizioni ma ieri sciolta e malandrina, capace di infilzarci a suo piacimento. Le spiegazioni possono essere centomila, una sola ne rappresenta la sintesi: giusto così. Non è stata una questione fisica. Hanno corso, ma hanno corso male, specie nel primo tempo. Ha giocato malissimo la più brutta Nazionale degli ultimi mondiali, orribile il primo tempo e Gattuso, sostituito, ne ha fatto le spese, coinvolto in una frazione giocata col terrore in testa e le gambe molli. Anche gli ultimi arrivati, come Di Natale, hanno tradito le aspettative a dimostrazione che lo scarto tra il rendimento domestico e quello internazionale, è ancora troppo grande per lui. E persino De Rossi, il guastatore che ha tenuto in piedi la baracca con Paraguay e Nuova Zelanda, si è disunito fornendo al rivale la palla del primo ko. Insieme con Chiellini arresosi sull’ultimo contropiede slovacco: non tanto i grandi vecchi hanno mancato l’appuntamento quanto la generazione di mezzo.
L’arrivo di Quagliarella e di Pirlo, nella ripresa, ha regalato idee e pericolosità mai avute prima. L’attaccante napoletano, liberato da Lippi nell’intervallo, da solo ha messo a ferro e fuoco la Slovacchia: ha regalato un mezzo gol fantasma, ha provocato il primo sigillo, a porta spalancata di Di Natale, ha raggiunto il 2 a 2 annullato per un fuorigioco millimetrico, ha firmato il 2 a 3 che ha aperto il cuore degli italiani alla speranza di una clamorosa rimonta. È stato un piccolo ciclone. Sarebbe stato utile scatenarlo prima, molto prima. Simone Pepe è stato scelto dal destino per lo snodo decisivo: ha «ciccato» in modo indecente la palla del possibile 3 a 3. Avrebbe regalato all’Italia la qualificazione impossibile. Non è il caso di maledire il cielo. Giusto così: quattro anni prima, molti episodi, hanno avuto una piega favorevole.
Una chiusura per Marcello Lippi, prima del congedo. Da coraggioso generale, si è preso tutte le responsabilità del fallimento.
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