La decisione è rinviata al ballottaggio, ma lesito più probabile delle elezioni presidenziali in Cile resta quello indicato costantemente dai sondaggi: una conferma e una novità, la continuità e la «rivoluzione» incarnate nella stessa persona.
Michelle Bachelet, candidata del Partito socialista, è uscita dal primo turno elettorale come vi era entrata: favorita. Il suo 46% corrisponde pressappoco alla somma dei due candidati che si sono spartiti lelettorato di centrodestra, e nello «spareggio» diventerà con ogni probabilità decisivo il pugno di suffragi raccolto dal candidato comunista Tomas Hirsch.
È la quarta volta consecutiva che la sinistra vince in Cile, e il Paese è in condizioni economiche eccellenti per lAmerica Latina, avendo avuto i nuovi dirigenti il buon senso di non smontare il meccanismo della «rivoluzione» neoliberista avviato durante la dittatura di Pinochet.
Figlia di un generale morto in carcere sotto la dittatura, Michelle ricopre la carica di ministro della Difesa. È, come Pinochet, oriunda francese ma è fedelissima nella memoria di Salvador Allende. È stata personalmente perseguitata negli anni Settanta e ha scelto come rifugio non uno dei soliti Paesi democratici bensì la Germania Est. In un Paese cattolico e conservatore, è atea dichiarata, e ha avuto tre figli da tre uomini diversi, nessuno dei quali suo marito. Non è il malcontento delle masse a spingerla avanti, bensì la conseguenza di una profonda modifica di costume. Senza peli sulla lingua, la Bachelet non ha infatti né celato né tentato di spiegare il suo status familiare non proprio comune: lo ha invece presentato come qualcosa di molto simile alla norma.
Ad aiutarla è stata anche lerosione del consenso residuo, fino a ieri molto forte, sullopera di Pinochet. A incrinare limmagine dell«uomo forte», severo ma capace, non sono state tanto le continue e accanite indagini giudiziarie sugli abusi innegabili del suo potere dittatoriale, quanto la rivelazione di sue debolezze umane quali lapertura di numerosi conti segreti in cui depositare, soprattutto negli Stati Uniti, i suoi «risparmi».
A 90 anni, insomma, Pinochet ha perso la faccia, e così una parte della sua eredità politica.
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