Baci, abbracci e poco altro: Kakà non è stato troppo Real

Ma dov'è Kakà? Se lo chiedono ingolositi quelli del Real rimasti senza Cristiano Ronaldo e se lo chiedono, intimiditi il giusto, quelli del Milan che lo cercano con gli occhi e lo pedinano con un po' di batticuore prima che arrivi al petto del Milan la stilettata di Dida, l'ennesima, da autentico congiurato. Ma dove gioca Kakà? Per rintracciarlo al volo con la casacca bianca bisogna mettere a fuoco la linea intermedia schierata dal Real capace di innescare solo Granero e Benzema e controllare sul cronometro i minuti necessari perché il brasiliano tocchi il primo pallone utile e si decida ad entrare nella carne viva della sfida.
Riccardino ha il volto tirato e lo sguardo perso dei giorni più tesi, di solito è uno che sorride, sembra invece un pesce fuor d'acqua dentro il puzzle madridista e comincia a gironzolare per le zolle umide del Bernabeu al fine di trovare la posizione migliore, quella giusta, un varco utile dove infilarsi. Quando si decentra verso sinistra Kakà trova Oddo e Ambrosini che gli ringhiano sulla schiena, quando si decentra dall'altro lato trova Seedorf e Zambrotta che provano a imbottigliarlo chiamando inutilmente rinforzi a Ronaldinho rimasto lì davanti in attesa di chissà quale prodezza, di chissà quale giocata. Perché non tira Kakà? Se lo chiedono appena smarriti i tifosi del Real, se lo chiedono un pizzico soddisfatti quelli del Milan che pure gli dedicano ancora striscioni e note d'amore per sei anni indimenticabili vissuti insieme, specie quando vedono la rasoiata di Pirlo fare secco e lasciare sul posto Casillas. Che Kakà sia rimasto un amico lo dimostra alla fine, a parole. «Noi volevamo vincere, ma conoscendo il Milan non mi aspettavo una squadra in disarmo. Invece a noi manca un’identità di gioco».
Kakà non tira perché il Milan occupa meglio e allarga bene la propria metà campo mentre il Real fa fatica a procurargli la rampa di lancio dove esaltare la sua corsa spedita e il suo tiro a girare sul palo lontano, capace di stregare fior di portieri, figurarsi Dida che ha al posto delle mani due saponette. Deve arrivare il finale della prima frazione per prendere nota del primo tiro di Kakà indirizzato in porta senza grande fortuna e neanche la mira chirurgica. Si sta scaldando, pensano in panchina Pellegrini e il suo staff. E infatti Kakà comincia a tirare e stavolta inquadra la porta appena Oddo gli concede un piccolo valico nel quale incunearsi per poi provare con l'esterno destro. Di solito il portiere «abbocca», Dida si ricorda di quei tanti giochini di prestigio ai tempi di Milanello e mette i guantoni al posto giusto per una deviazione che deve fargli sentire meno avvilente il peso dello storico errore. Ma perché Kakà non segna? Sui gradoni umidi del Bernabeu se lo chiedono angosciati tutti quelli del Real appena Ambrosini taglia a fette la difesa sbrindellata di Madrid e consente a Pato di ripetere la prodezza con la Roma, evitando secco il portiere, proprio come al cospetto di Doni, infilando il 2 a 1 nell'unico pertugio rimasto libero. Kakà comincia a prendersi responsabilità anche eccessive e dal limite prova la sorpresa che invece rotola fuori, lontano dalla sagoma di Dida, come nelle serate di scarso genio che pure capitano a uno come lui costato tanto, 68 milioni. Provvede alla bisogna Drenthe, prima dello squillo finale di Pato. «Già», sottolinea Kakà. «Date tempo a Pato e vedrete tanto talento, peccato abbia fatto capire qualcosa in questa partita».


E Ricardo? Sarà per la prossima volta, per il ritorno a San Siro nello stadio del suo amore dimenticato, dove lo tratteranno ancora da re. Ma gli ricorderanno come ha detto Galliani, prima di infuriarsi con la Tv per una domanda non gradita, «che il Milan ha un Dna da coppa campioni».

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