Alessandro Massobrio
Il professor Gaetano Bignardi, rettore magnifico della nostra università, nelle fasi conclusive di questa novantatreesima edizione della Bai, lo ha ribadito a chiare lettere: questo dialogo continuo tra loggione e palcoscenico, tra attori e pubblico, rientra appieno in una antica tradizione tutta genovese, che occorre assolutamente preservare dai danni di una modernità priva di radici. Che poi gli eventi siano precipitati, che il bottiglione di spumante, maneggiato incautamente dallo stesso rettore e dagli altri dopo di lui - c'erano alla ribalta tutti gli amici della goliardia ligure, da Plinio a Biondi, sino a Enriquet, Cerofolini, Dotto, Schiaffino e al serenissimo XLVIII doge - abbia finito per traboccare, quasi annegando qualcuno dei presenti, è altro discorso. Rimane il fatto ed il fatto è importante, perché risale agli anni d'oro del Carlo Felice, quando nessuno aveva ancora pensato di cambiar nome al teatro, trasformandolo da felice nell'infelice Mazzini e la gente dei loggioni fischiava e bisticciava con gli attori, direttamente in scena, direttamente tra una cavatina e l'altra, direttamente tra l'acuto di un soprano e i rantoli catarrosi di un basso.
Ebbene, qualcosa di simile è accaduto anche laltra sera al Politeama Genovese, nel corso di «Speciale per due», il nuovo varietà messo in scena dagli universitari della Baistrocchi, tra il consueto diluvio di carta igienica e di guanti di gomma gonfiati (i profilattici sembrano ormai essere passati di moda). In mezzo a tutto questo, puntuale come la voce del molestatore telefonico di Voghera (alias Gualtiero Schiaffino), dalla parte sinistra della galleria, si alzava un'altra voce a commentare, magari in maniera particolarmente colorita, l'avvenenza un po' troppo irsuta di qualche ballerina o qualche scambio di battute super salaci del copione. Ed ecco, immediata, da Edo Quistelli e Marco Biancalana partiva la replica ed alla replica si replicava ed alla contro replica seguiva una contro contro replica e così all'infinto, se il senso del teatro dei due mattatori - improvvisatori non avesse imposto loro di riprendere il filo dell'azione scenica.
Perché quanto a senso del teatro, Quistelli e Biancalana non sono davvero secondi a nessuno. Dopo venticinque anni di Bai («Speciale per due» è dedicato a loro, al loro ingresso, nel 1980, in questa compagnia di «matti che matti non sono», sino alla progressiva affermazione come primi attori e trascinatori della goliardia genovese) sarebbe addirittura lecito affermare che le doti di improvvisazione, rapporto con il pubblico e immedesimazione in un ruolo si sono ulteriormente affinate. Sino a renderli capaci (si pensi allo sketch, tratto dal varietà del 1981, «Metti una sera a
Genova») di far rivivere, seppure tra sberleffi e scambi di battute col pubblico, l'atmosfera di una di quelle case chiuse che tanta parte hanno avuto nella storia del costume - e non soltanto del costume - di una certa Italia uscita con le ossa rotte dalla guerra.
Dunque, 25 anni. Nozze d'argento. Una data davvero non da poco. C'era perciò in questa edizione della Bai quel sottile senso di malinconia e di rimpianto che circolava, sotto i siparietti e le gag, come una corrente sottile ma continua. E si poteva cogliere, in prima battuta, attraverso le immagini del grande schermo, collocato al centro del palcoscenico, che rimandava alla platea le foto, rigorosamente in bianco e nero, degli anni passati.
Lo spettacolo si è mosso così sul piano dei ricordi, delle scenette più riuscite delle trascorse edizioni, intervallato e vivacizzato naturalmente da quelle 12 vomitable girls 12, che si raccomandano ormai come un corpo di ballo a cui non fa paura neppure più la danza classica, quella sulle punte ed in tutù. Figuriamoci perciò il can can, che secondo tradizione ha concluso lo spettacolo.
Ma procediamo con ordine. La prima parte dello spettacolo, più compassata e raccolta intorno all'episodio centrale dedicato al Genoa, è vissuta soprattutto sui disagi edenici di un Adamo (Quistelli) e di una Eva (Biancalana), ovviamente porca, impegnati a sfuggire le tentazioni di un serpentello o serpentone in calzamaglia verde. C'era il Creatore, ovviamente, un Dio in abito bianco e paillettes, che, dinanzi al caos provocato dai progenitori, non poteva trattenersi dall'esclamare un «Santo Io!», che non ha comunque risolto i problemi. Insomma, i due, secondo Genesi, sono stati cacciati dal Paradiso, costretti per sempre a soccombere alle spinte dei sensi e alla voglia di pulizia (le scopate).
Dopo un finale ispirato agli sfarzi del Lido di Parigi (davvero notevoli i ricchissimi copricapo della «ballerine», sempre in equilibrio precario come la torre di Babele), la seconda parte - più mossa e vivace - si è aperta con il celebre episodio («Chi dice donna dice
donna» dell '85), ispirato al lawrenciano «Amante di Lady Chatterley». In questa circostanza, ad un Lady (Biancalana) posseduta da una irrefrenabile pulsione sessuale, si presenta un giardiniere (Quistelli), che - chissa perché? - indossa la divisa - strettissima per giunta - di un vigile urbano genovese, a cui il sindaco Pericu ha ingiunto di distribuire bollette ai contravventori del divieto di posteggio.
Dato che il vigile-amante si porta appresso una gabbietta con dentro un paio di pennuti, i doppi sensi si sprecano e si sprecano soprattutto nella riuscitissima gag successiva, quella di «Biancaneve e i sette nasi», che fa piazza pulita di certo buonismo italico, sostenuto dai grandi quotidiani di casa Fiat e dintorni, che vedono in Lapo Elkann una vittima del sistema e non il degenere rampollo (cocainomane e con singolari frequentazioni sessuali) di una grande tradizione.
E la politica? Quest'anno la Bai non ha calcato la mano. L'anno scorso, il musical si era concluso con la profetica predizione della sconfitta del centro-destra alle elezioni regionali, quest'anno la sibilla non ha parlato. Limitandosi a sparare qualche raffica appena su Pericu, Merella e naturalmente Prodi. Del Duce, ricordato nella sua visita a Genova nella tarda primavera del '38, solo qualche facezia. Più rispettosa certamente di tante prese di distanza da parte di taluni esponenti politici di An.
Infine, un bravo a tutti.
Il problema è: tra quanti millenni?
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