Guido Ambrogio. Si chiamava così l'allievo numero uno di Luiz Martins De Oliveira, o, come lo conoscono tutti, «mestre Baixinho» (traduzione brasiliana di «piccoletto»). Fu il primo a mettere piede in quella minuscola palestra e ad iscriversi al suo corso di capoeira. Correva l'anno 1987 e Baixinho da due mesi attendeva, inutilmente, che qualcuno bussasse alla sua porta. Pochi giorni fa il maestro ha festeggiato i 20 anni di capoeira in Italia con una folla di allievi, amici, semplici curiosi accorsi in via Angelo della Pergola, dove si trova la sede dell'«Academia de Capoeira da Angola», la prima fondata nel nostro Paese. Mestre Baixinho oggi è un'autorità.
Come le è venuta l'idea di portare la capoeira in Italia?
«Per caso. Ho scoperto la capoeira a 15 anni, in Brasile. A 21 ero diventato insegnante. Poi sono partito con una compagnia teatrale e abbiamo iniziato a girare per l'Europa, finché non ho deciso di lasciarla. Quando sono arrivato in Italia ero solo e senza un quattrino».
Come se l'è cavata?
«Ho dormito per quattro mesi sulle panchine. Qualcuno è perfino venuto ad offrirmi un lavoro. Ma ho rifiutato. Con un lavoro a tempo pieno non avrei avuto il tempo di bussare a tutte le porte e sentirmi dire di no. E non sarebbe mai arrivato il sì di quella piccola palestra».
Come definirebbe la capoeira?
«È una lotta camuffata da danza agli occhi di chi la guarda. È anche ritmo, acrobazia, arte e bellezza, ma resta una lotta, anche se non porta necessariamente al contatto tra i due avversari. La capoeira è nata tra le tribù di schiavi africani (deportati in Brasile dai portoghesi, ndr) e nella mia Accademia questo legame è fondamentale».
La sua Accademia è presente anche in Angola grazie al progetto «Roda da Vida».
«Ogni anno organizziamo quest'evento alla Cascina Monluè. Ci sono concerti, spettacoli di capoeira, laboratori e conferenze. Parte dell'incasso viene devoluto al progetto Lubango, dove lavoriamo con una Ong che si occupa di ragazzi di strada. Abbiamo organizzato un gruppo pilota di capoeira, insegnato loro le musiche e come costruirsi gli strumenti. Ora alcuni di questi giovani vivono di capoeira».
Cosa insegna nei suoi corsi?
«Oltre ai movimenti è importante capire i valori, il contesto culturale in cui si è sviluppata la capoeira. Per questo è fondamentale imparare il portoghese. Questo per i semplici allievi, altra cosa per i veri e propri insegnanti. Dopo 6-7 anni di esercizio, alcuni ragazzi hanno iniziato a vivere con me quasi ogni giorno, ho insegnato loro a costruire gli strumenti, li ho portati ogni anno in Brasile perché conoscessero quella cultura, pur con tutte le sue contraddizioni».
Tra i discepoli ci sono anche donne?
«Tra donne e uomini non cè alcuna differenza. La mia prima vera allieva, dopo il famoso Guido, è stata una ragazza che oggi insegna capoeira».
Oggi ci sono molti corsi di capoeira, sembra diventata una moda...
«È moda al di fuori della mia accademia, per me il legame con le radici africane è fondamentale e i miei discepoli dovranno tramandare questa cultura per evitare che la capoeira si riduca ad un semplice "sport"».
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