Baldini&Genovese doppia maratona per ritrovare l’Italia

Oggi la veneta: «Vorrei trascinare le donne italiane a correre». Domani l’olimpionico: «Che pressione. Spero che non ci sia il prete di Atene...»

Riccardo Signori

nostro inviato a Goteborg

Sole o pioggia? Oggi e domani l’Italia scoprirà la meteorologia dei suoi europei. Scendono in campo i fachiri della fatica, donne e uomini della maratona. Chissà che Bruna Genovese e Stefano Baldini non riscaldino la tribù azzurra con un po’ di solicello, dopo tanti rovesci. Oggi a mezzogiorno tocca alle signore dei 42 km, domani il campione olimpico sarà ancora l’uomo da battere, nonostante la fame degli spagnoli e gli imprevisti del mestiere. «Non so dove sia il prete irlandese», ha scherzato ricordando l’avventura di Atene. Negli ultimi venti anni i maratoneti nostri hanno fatto raccolto: su ogni strada e in ogni competizione. A Goteborg, Dorando Pietri ha concluso la carriera di fornaretto-faticatore correndo una 20 km in una gara del tempo: uno contro uno. Era il 15 ottobre 1911. Segnali per sperare in qualche raggio di sole.
Bruna Genovese è l’ultimo prodotto di successo del gran correre femminile. Quattro anni fa a Monaco spuntò Maria Guida, vinse il titolo ma poi chiuse. Le nostre donne quasi sempre hanno messo piede sul podio nelle maratone europee. La concorrenza è alleggerita. «Anche se quest’anno le russe vanno davvero forte», ha raccontato lei, donna pocket nelle misure (m 1,61 x 50 kg) ma con un gran carattere. All’estero ha sfondato, in Italia è rimasta nel limbo degli anonimi. Trevigiana di Volpago Montello, 29 anni, allenata da Salvatore Bettiol, maratoneta di buon valore se non si fosse trovato davanti Bordin, la Genovese a Boston ha fatto 13 nel senso del risultato (quarta con il nuovo primato personale) e del numero di maratone finora corse. All’estero ha trovato fortuna: un terzo e un quarto posto a Boston, un quinto a New York, ha vinto a Tokyo, tutti piazzamenti remunerativi. Ma ora cerca un po’ di gloria. E magari un’idea per le donne italiane. Racconta: «Sarebbe bello trainare il movimento femminile. Quando sono a New York, vedo tantissime donne correre a Central Park, più degli uomini. E così a Boston, lungo il fiume. Nei negozi sportivi di New York è più facile trovare abbigliamento per le maratonete che per i maratoneti. Insomma un mondo rovesciato. Mi piacerebbe che noi italiani, così bravi a capire e copiare, copiassimo anche questo». Una corsa da podio potrebbe dare una mano: saranno 42 km su un percorso duro, circuito da dieci chilometri da ripetere quattro volte.
La nostra fachira promette che ci proverà. «Però ho smesso di leggere i giornali. Non mi piace quest’aria, come avessi già la medaglia al collo. Non voglio sentire troppa pressione addosso. Ho messo chilometri nelle gambe, oltre 200 per quattro settimane. Ho cercato di velocizzarmi, perché ormai non basta più la resistenza. So bene che in competizioni come queste o vinci la medaglia o non conta niente».
Pressione, una parola che va di moda in azzurro. Il frutto del vincer poco. Ieri, per la prima volta, dopo tanti anni l’ha pronunciata anche Stefano Baldini, uno che ha vinto e pensa a vincere. Ma il tempo passa, ha spiegato lui, ormai gli anni sono 35, border line per atleti di successo. «Anche se la vita nello sport si è allungata. Pure nel nuoto si è alzata l’età media per la gente da podio. E in giro ci sono pochi giovani che sanno correre ad un certo livello. Meglio per quelli come me». Ma stavolta Baldini non ha i guizzi spavaldi degli ultimi anni. Pesa la sberla rimediata l’anno scorso ai mondiali di Helsinki per problemi fisici, pesa quell’essere campione olimpico in una gara dove ha tutto da perdere. Ha già vinto gli europei otto anni fa a Budapest, quando fu tripletta italiana, deve sentirsi solo più che mai in un’Italia che non ha punte, se non per grazia ricevuta da una famiglia americana. Quest’anno a Londra ha stabilito il primato italiano, poi si è rimesso subito al lavoro. «Ho vinto quattro gare, ho ricalcato il programma dell’anno scorso. La maratona si corre nello stesso giorno: 13 agosto.

Non ho perso neppure un allenamento: sono tornato all’antico. Penso a Pechino e mi piacerebbe arrivare con questa forza fisica e motivazione. Ma non posso programmare il futuro come dieci anni fa. Vivo alla giornata». Un po’ come questa disastrata atletica.

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