Aveva quattro anni Gabriel Marcel quando perse sua madre. Un giorno, a sette anni, passeggiando con sua zia, cercava di capire dove fosse finita sua madre. Sua zia gli rispose che era impossibile sapere se i morti finiscono nel nulla o sopravvivono in qualche modo. Gabriel promise: «Io tenterò di saperlo». Fu di parola, dedicò tutta la sua vita a cercare una risposta. Da adulto Marcel ricordò quella passeggiata e disse: «Non minimizzate quella parola di bambino perché ha fissato il mio destino». Marcel diventò filosofo per rispondere a quella domanda infantile su sua madre.
S’interrogò per una vita sui temi della morte e dell’anima,del tempo e dell’eterno, per esaudire quel doloroso interrogativo di bambino. Diventò filosofo per rintracciare sua madre. Una vicenda intima, famigliare, suscita la ricerca esistenziale sul destino universale. «La considerazione della morte dell’essere amato prevale infinitamente su quella della propria morte».
Da anziano, Marcel scrisse che amare qualcuno significa dirgli «Tu non puoi morire, o meglio Tu non morirai... Può esservi speranza solo quando interviene la tentazione di disperare». Ecco dove nasce la filosofia, non solo in Marcel ma in ogni uomo: lo stupore di vivere unito al dolore di (veder) morire. Madre Filosofia.
Nel giorno dei morti, Gabriel Marcel ci insegna a rendere il ricordo non solo un lutto e una visita rituale al camposanto, ma un impegno di vita e una promessa: far vivere gli assenti. Tu non morirai, almeno per me e - si spera - non solo per me. Quel bambino mantenne la promessa.
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