Il "grande gioco" della banche italiane, più forti della crisi

Le banche italiane sono in fermento. Vediamo scenari tra i due big, Intesa e Unicredit, e la "classe media"

Il "grande gioco" della banche italiane, più forti della crisi

Le banche italiane sono solide e non devono temere contraccolpi dopo la fase di crisi inaugurata nelle ultime settimane dal fallimento di Silicon Valley Bank negli Usa prima e dal dissesto di Credit Suisse e che ha avuto la sua "coda" nel sussulto sull'americana First Republic Bank. Una fase di tensione acuta che ha però mostrato quali istituti possono navigare nelle acque agitate della volatilità montante e della strutturale vischiosa inflazione non scissa dagli alti tassi delle banche centrali.

Le banche italiane sono in salute

La risposta è chiara. Per le banche italiane il peggio è passato. Parlano la sostanziale tenuta delle quotazioni dopo una fase di altalena borsistica e i coefficienti di capitalizzazione e patrimonializzazione ampiamente soddisfacenti. E lo confermano, soprattutto, la continuità tra gli utili della fine del 2022, i risultati di inizio 2023 e le prospettive di un sempre maggiore consolidamento.

Il trend su cui puntano da tempo la Banca centrale europea e la vigilanza dell'Eurotower guidata dall'italiano Andrea Enria è infatti un incentivo alla strutturazione di un sistema di banche legate da dinamiche di mercato, partecipazioni incrociate, economie di scala virtuose. Operazioni di sistema come quella che nel 2020 ha portato in dote Ubi a Intesa San Paolo, aprendo poi all'espansione di Bper tramite acquisto di filiali, sono da ritenersi potenzialmente ripetibili nei mesi e negli anni a venire proprio a causa della prospettiva di maggior tutela dalle buriane di mercato che alleanze strategiche di questo tipo permettono.

Intesa e Unicredit, dualismo di sistema

Intesa e Unicredit sono il "perno" di questo sistema, e la loro rivalità legittima automaticamente la solidità del sistema in cui due attori privati dalla proiezione internazionale possono permettersi di muoversi con sostegno all'impresa privata e allo sviluppo di strategie ben ramificate in diversi settori.

La proiezione di sistema di Intesa e Unicredit è ben visibile dalla strutturazione di cordate parallele e attive su più campi in settori come le fondaizoni bancarie e il real estate. Tra Milano e Torino, di recente, si è visto il cambio della guardia che ha portato alla testa di Fondazione Crt, piemontese, l'ex vicepresidente e regista della nascita di Unicredit Fabrizio Palenzona, e a quella di Fondazione Cariplo l'ex rettore del Politecnico di Milano Giovanni Azzone.

Crt, lo ricordiamo, è azionista di Unicredit e Banco Bpm; Cariplo, invece, è polmone del potere milanese della finanza e azionista di Intesa San Paolo. Palenzona è anche presidente del fondo immobiliare Prelios, che con Crt e Unicredit costituisce un triangolo strutturale. Come sottolineato su True News, il real estate rientra anche per quanto riguarda la vicinanza al mondo di Intesa. La banca di Ca' dei Sass' e Cariplo sono spesso accostate in diversi progetti all'ambrosiana Coima, il fondo del costruttore di Porta Nuova Manfredi Catella.

Unicredit è attenta in questi mesi a scaldare i motori, avendo Intesa costruito una posizione di sistema con l'acquisizione di Ubi, l'alleanza con Cassa Depositi e Prestiti nell'operazione Euronext, il varo di acquisizioni all'estero nel wealth management e l'attività da banca di sistema sul Pnrr. La banca di Piazza Gae Aulenti con Andrea Orcel amministratore delegato ha iniziato una fase espansiva dopo anni di "cura dimagrante" che hanno ridotto notevolmente le esposizioni e i crediti deteriorati. Unicredit ha sfiorato i ricavi di Intesa nel 2022 (20,3 miliardi di euro contro 21,6) e con 35 miliardi di valore borsistico ha più che raddoppiato in due anni dall'arrivo di Orcel. E ora punta a emulare Intesa con una grande operazione di sistema.

Il nodo "terzo polo" e il ruolo di Banco Bpm

In quest'ottica i destini di Unicredit si saldano direttamente con quelli di Banco Bpm. L'istituto di Piazza Meda ha superato il livello storico di utili nel 2022 con 866 milioni di euro di profitti e un margine d'interesse al 13,4%. E ora studia con l'ad Giuseppe Castagna la prospettiva per un ulteriore consolidamento.

I rumors della comunità finanziaria milanese danno sempre più potenzialmente Bpm come il partner ideale per il ritorno sul mercato di Monte dei Paschi di Siena, che il governo Meloni ha recentemente rinnovato nel management confermando l'ad Luigi Lovaglio. Ma proprio per la sua solidità Bpm potrebbe essere a sua volta la banca su cui Orcel e Unicredit potrebbero puntare per un'aggregazione o fusione.

Federico Ghizzoni di Rotschild ha definito "inevitabile" la prospettiva di un risiko tra banche italiane nel prossimo futuro. Ad oggi dalle sedi milanesi delle due banche non traspare nulla. Bpm esclude ogni puntata su Mps e Unicredit non ha annunciato piani di sistema. Ma la tendenza italiana al consolidamento bancario spinge in queste direzioni: da un lato si può pensare alla prospettiva dell'inseguimento di Unicredit al modello Intesa e al sogno del sorpasso da parte di Gae Aulenti su Ca' dei Sass. Dall'altro, al dinamismo di un mercato che ha già prodotto ultimamente diverse operazioni e da cui può nascere un terzo attore dinamico di sistema capace di iniziare un percorso in grado di portarlo a rivaleggiare con i due big.

La classe media delle banche italiane

Banco Bpm è oggi con Bper la più interessante delle esponenti della classe media. Lasciando in un discorso a parte le boutique finanziarie specializzate nel Private Banking come Mediolanum e Banca Generali, ci sono diversi istituti di raccolta e finanziamento che stanno mettendo in campo un legame virtuoso tra i terrritori di riferimento e il mercato.

Bpm presidia Lombardia, Piemonte e Veneto. Bper assieme a Credem è attiva in Emilia-Romagna e nel resto del centro Italia. Esistono poi le due banche della Valtellina, Banco di Sondrio e Popolare di Sondrio, che presidiano una zona attiva nella raccolta dei capitali e nel settore dell'innovazione finanziaria legata al fintech. Tra bond che rendono tra il 5 e il 9%, indici di redditività vicini alla doppia cifra e una qualità del patrimonio aiutata dalla cura massiccia sui crediti deteriorati degli anni scorsi, è il mercato a parlare.

Cosa bisogna tenere d'occhio

In quest'ottica le banche italiane riescono a sopravvivere bene perché ben patrimonializzate, solide e capaci di generare utili per prestiti, attività ordinaria e settori ove le politiche pubbliche hanno creato un contesto virtuoso. Dalle garanzie sui giovani per i mutui alle azioni per la cessione dei crediti edilizi, le banche hanno trovato diverse centrali di ricavi.

Gli istituti italiani devono tenere d'occhio per non veder sfumare questa fase positiva almeno tre fattori. In primo luogo le banche devono saper mobilitare in forma crescente verso gli investimenti gli oltre 5mila miliardi di euro di risparmio privato delle famiglie. In secondo luogo, evitare di alzare eccessivamente i margini d'interesse sui depositi per evitare di cadere nel circolo vizioso del risparmio incagliato e della percezione di apparire come istituti intenti a prelevare risorse dai depositanti.

Last but not least, le banche devono ricordare i legami coi territori e l'economia reale. Non pensare al gigantismo come sfogo finale del consolidamento.

L'attuale congiuntura premia i mondi che hanno mantenuto la connessione con l'economia reale e le prospettive di sistema degli attori più dinamici. Ma serve mantenere pragmatismo e una sana istituzione volta alla concorrenza leale, produttrice di valore aggiunto e sviluppo.

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