(...) ma il profumato miscuglio di sostanze che da tempo immemorabile nei paesi arabi si consuma in modo conviviale, pigiandolo nel fornelletto e aspirandone laroma attraverso lacqua profumata. Da quando la componente araba - più o meno regolare - nelle nostre metropoli è diventata rilevante, il rito del narghilè divenuto anche qui un fenomeno diffuso. Ma per far andare il narghilè serve il tabacco da narghilè. E qui casca lasino.
Per la legge italiana, è tabacco: e quindi andrebbe importato secondo le regole del Monopoli di Stato. Invece un folto gruppo di egiziani aveva organizzato un canale parallelo di importazione, che dallEgitto raggiungeva le centinaia di locali di prodotti etnici spuntati come funghi nelle strade milanesi. Un ruolo chiave, secondo laccusa, lo aveva un personaggio molto noto nel mondo del commercio arabo: il siriano Nasser al Nasser, titolare di una grossa impresa di import export a Opera. Centinaia e centinaia di chili, secondo le indagini delle «fiamme gialle».
Quando la banda viene scoperta e arrestata, ai suoi membri la Procura contesta il reato di contrabbando di tabacco. Ma uno dei difensori, Alfredo Zampogna, parte allattacco. Sostiene che la legge - fatta per colpire il traffico di sigarette - è scritta in modo da non punire il contrabbando di prodotto sfuso. E soprattutto fa presente che - a differenza delle sigarette - dentro al miscuglio che viaggia sotto il nome di tabacco da narghilè in realtà cè dentro un po di tutto: frutta tritata, erbe aromatiche, spezie, e una percentuale di tabacco che a volte può essere anche molto bassa. Che senso ha tassare tutto come se fosse tabacco?
Ieri, al momento di decidere sul rinvio a giudizio, il giudice Alma respinge la prima tesi difensiva: il fatto che il prodotto viaggi sfuso non lo esime dalla legge. Ma concorda che in effetti - visto che la legge prevede anche una sanzione pecuniaria in base alla quantità di tabacco - non si possono condannare gli imputati senza sapere che diavolo ci sia dentro.
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