Cultura e Spettacoli

Banfi: «Per Natale torno in campo con Oronzo Canà»

Il popolare attore a 71 anni si prepara a girare il remake del suo film più celebre, «L’allenatore nel pallone»

Banfi: «Per Natale torno in campo con Oronzo Canà»

Ci siamo. Oronzo Canà torna in campo. Ha saltato allenamenti per vent’anni e più, la panza è quella che è, qualcosa ha perduto grazie al taglio dei baffi, per il resto la voce, le sembianze, il linguaggio improbabile sono rimasti tali e quali: Pasquale Zagaria, in arte Lino Banfi: present’e. Eccolo, ancora e di nuovo L’allenatore nel pallone, un cult, un must, tutte quelle robe lì che vanno di moda a dire ma a spiegare sono più complicate: «A me i film in replica, i remakes non sono mai piaciuti, anzi li ho sempre respinti. Ma stavolta mi sono arreso, perché ho capito che l’Allenatore nel pallone è una specie di istituzione, ricordo ancora gli striscioni negli stadi: “Vogliamo Oronzo allenatore, più Canà per tutti”. In questo pazzo mondo del calcio si può ancora ridere e scherzare, il pallone è umano, è l’arte del sorriso. E così faremo, dal venti di agosto in poi».
Come in un campionato. In verità il lavoro di ripresa incomincerà a metà luglio, quando le squadre saranno nei ritiri, meno assatanate e condizionate dalle partite, dagli impegni ufficiali: «Milan e Roma hanno accettato con entusiasmo e i giocatori si sono detti a disposizione. Magari potessi avere per un minuto anche Silvio Berlusconi, a Milanello. Spero di agganciare Moratti e l’Inter, sto lavorando con Fulvio Collovati che mi fa da consulente, spero di avere il Torino, Urbano Cairo è un amico, ho parlato con il presidente della Juventus Cobolli Gigli, intanto Del Piero è pronto per il film. Ci sarà Totti, ci saranno anche gli eroi di allora, Pruzzo, Ancelotti, rivedrò Graziani, allora lui mi batteva sulla capa pelata prendendomi in giro e io gli dicevo, da buon mago, vedrai che farai la mia stessa fine, così è stato, bel Ciccio. Non ci sarà Liedholm per motivi di salute, so che Moggi si è fatto sentire ma non da me personalmente. Sto cercando un sosia, dovrà recitare il ruolo di un ferroviere lo stesso appunto occupato da Moggi. Ci sarà di sicuro Matarrese, con Tonino abbiamo la stessa frequenza di pronuncia, siamo andrisan’e tutti e due. Ma questa fetta della storia è ancora nella mia testa, lo sarà anche nello sviluppo del film, un sogno».
Il sogno di Oronzo Canà che oggi ha settantuno anni come il suddetto Banfi Lino, dunque: «Un po’ rincoglionito, si accomoda sulla panchina e si addormenta e addormentandosi sogna, sogna di allenare i grandi, sogna di essere il tecnico delle squadre più forti».
In attesa della coda ai botteghini ecco la fila per un posto nel cast: «Ogni giorno si propongono in mille, anche tra i giornalisti, tra i calciatori poi non potete immaginare. Tutti vogliono entrare in questo pezzo di storia del cinema. Un fatto solo è certo: squadra che vince non si cambia, l’ho detto ai capi della produzione (Dania Cinematografica e Medusa), dunque il cast di vent’anni orsono viene ribadito in tutto, da Camillo Milli in giù, da Sergio Martino, regista fino all’ultimo dei partecipanti. Amedeo Minghi ha scritto la musica, strana. Pensavo di uscire a gennaio, per evitare il cenone natalizio, l’ondata degli altri film, sono annunciati Pieraccioni, forse De Sica e poi Boldi. L’idea è stata subito smantellata, dunque respinta, da Medusa, natale e Banfi, anzi Canà sono un abbinamento necessario, doveroso. Dunque a Natale nelle sale, con distribuzione massiccia, a tappeto».
Dei costi non sa, perché Oronzo è uomo di campo e non di scrivania: «Sono cambiati i tempi e le conoscenze in questi vent’anni. Non conosco i meccanismi attuali, il mio agente, Mario De Simone, non c’è più, mannaggia, se ne è andato prima del tempo, lui era il mio termometro, bello, genuino, immediato. “A’ Lino, er marciappiede è cardo“, mi diceva e io capivo che c’era gente davanti al cinematografo, l’incasso era assicurato, oggi non so, non immagino, non ci sono più i marciappiedi de una vorta» ma c’è sempre Oronzo Canà e su questo i produttori scommettono: «Mi dicono che i costi potrebbero aggirarsi sui due milioni di euro, se ne potrebbero incassare cinque, sei, sette chi lo può dire».
Pasquale Zagaria ne parla con prudenza, con il rispetto di chi ha mangiato paneduro inzuppato di odori di cibo, davanti al bar Commercio di Milano: «Quando non avevo un centesimo in tasca e la fame era la fame vera. Eppure io già sapevo che sarei diventato qualcuno, che avrei fatto strada, li sfidavo i miei compagni di allora, li sfidavo mentre loro avevano scelto una vita balorda, tra furti e scippi. Ero convinto che sarei riuscito a diventare protagonista, attore intendo perché la mia vita è rimasta uguale, dopo Andria e Canosa, tra Roma e Milano, con le vacanze a Cannes, nel ricordo quotidiano di Riccardo Zagaria, mio padre, presente dovunque, sempre, nelle fotografie: sono con Berlusconi, c’è papà in una cornice di fianco, sono con il Papa, come sopra, sono con Totò e Riccardo osserva da vicino, perché mio padre era un contadino ma aveva capito tutto di noi pugliesi, delle differenze tra gli andr(e)san’e e i canos(o)ain, che sarebbe, tradotti, quelli di Andria e quelli di Canosa. Mi ha insegnato a mediare ma a essere rigoroso».
Lino Banfi, cento e passa film alle spalle ha la voglia bella fresca del debuttante, dopo le felici fiction in tivvù che gli hanno cucito addosso un abito non previsto. «La storia dell’omosessualità affrontata in Un Medico in famiglia mi ha aperto conoscenze e riconoscenze che non potevo immaginare. Mi è accaduto a Fiumicino, prima di imbarcarmi su un aereo, una delle hostess si è avvicinata, mi ha preso la mano e mi ha sussurrato: “Grazie per quello che sta facendo per noi!”. La crisi dell’Alitalia non c’entra.
Non si è tagliato i baffi per questo, lo esige Oronzo Canà che affronta il modo tatuato e macho (!) del football: «C’è ancora molto da chiarire in questo calcio, bisogna passare la farina al fornaro, al setaccio, prima che sia davvero pulita».
Il pallone è un divertimento passeggero, il tifo per la Roma una seconda scelta: «La mia prima volta in uno stadio fu con la Lazio, mi piacevano i suoi colori, poi De Nadai mi introdusse nell’ambiente giallorosso e vennero Falcao, Scarnecchia, Cerezo...». Roba antica, Pasquale Zagaria, ex belloccio dei fotoromanzi, stremato dalle «tettole» della Fenech e dal patrimonio «culturele» della Cassini, esce dal campo e lascia il posto a Oronzo Canà. A Natale si gioca. E con un pallone si ride.

Finalmente.

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