"Bannon è una stella, ma cadente. Lui e il populismo spariranno presto"

Il capo staff dell'ex premier Gentiloni lo incontrò alla Casa Bianca: «Trump si è servito di lui e poi lo ha cacciato. E ora viene a finire la carriera in Europa»

"Bannon è una stella, ma cadente. Lui e il populismo spariranno presto"

A ntonio Funiciello oggi è consulente e giornalista, e sta scrivendo un libro sui consiglieri politici e l'anticamera del potere, ma per molti anni ha lavorato nelle cucine della politica e a Palazzo Chigi, capo staff dell'allora premier Paolo Gentiloni.

Lei ha incontrato Steve Bannon alla Casa Bianca, accompagnando Gentiloni in visita di Stato.

«Aprile 2017. Durante il bilaterale nella Cabinet Room eravamo seduti di fronte. Non prese mai la parola e anche nelle conversazioni a margine degli incontri ufficiali non mi fece una grande impressione. Trovai la cosa bizzarra, visto l'interesse che lui già aveva mostrato per l'Italia. E considerata invece la loquacità di altri consiglieri di Trump, per esempio del suo chief of staff Reince Priebus. Ebbi l'impressione che fosse già marginalizzato. E in effetti dopo quattro mesi fu licenziato. Come d'altronde anche Priebus».

Chi è Bannon? Qualcuno dice sia il diavolo, altri la voce del popolo, altri il personaggio più influente della politica americana.

«Ma quale diavolo, per carità... Io, però, ne parlerei al passato. È stato uno dei personaggi cruciali della politica americana nel recente passato, non c'è dubbio. È indispensabile riflettere su Bannon e sul suo lavoro per capire come si sono prodotti gli attuali rapporti di forza nella politica americana. Però è una stella cadente. Trump se n'è servito e poi l'ha cacciato. Bannon è un po' come quei giocatori dell'Nba che a fine carriera vengono a giocare in Italia: non sono più all'altezza dell'Nba, mentre qui possono ancora avere un ruolo».

Bannon ha rapporti diretti, si dice, con M5S e Lega. E lui stesso ha ammesso di essere affascinato dal «laboratorio» politico italiano. Davvero siamo all'avanguardia per quanto riguarda l'esperienza populista?

«Siamo un piccolo laboratorio culturale. E lo siamo stati anche in passato. Oggi siamo fortissimi su populismo, sovranismo, nazionalismo. Ieri eravamo fortissimi perché il capo di tre televisioni era anche premier. L'altro ieri eravamo fortissimi perché avevamo il più forte Partito comunista d'Occidente. Siamo un generatore automatico di anomalie. Però non facciamo tendenza. Nessuno ci copia, nessuno si ispira a noi. Siamo gli unici in Europa ad avere un fronte populista al governo e resteremo tali».

C'è chi dice che il populismo sia uno tsunami che nessuno poteva prevedere. Altri invece che sia l'effetto inevitabile della rabbia e della paura. Per lei, di chi è figlio il populismo?

«Il populismo è un fiume carsico. Come fenomeno tipico della democrazia, quando si creano certe condizioni riemerge dalle spelonche della terra e travolge tutto quello che trova in superficie. Le condizioni che lo hanno determinato sono due: la crisi di attrattività del soft power liberaldemocratico, del suo sistema valoriale, del suo appeal popolare; e la peggiore crisi economica dell'Occidente dal crac del '29».

Nel populismo è tutto da buttare?

«Nel populismo c'è tutto da capire. Non è un meteorite che s'è abbattuto sulla Terra e ha estinto i dinosauri. Il populismo è un fenomeno storico. Si è prodotto perché negli ultimi dieci anni le leadership politiche che s'ispiravano ai valori liberaldemocratici non sono state in grado di avere performance di governo apprezzabili. La democrazia liberale si fonda sull'idea che costruire un ordine politico sulle libertà fondamentali dell'individuo sia non solo moralmente lodevole, ma conveniente. Oggi questa convenienza si è indebolita. L'ascensore sociale è più veloce nelle democrazie illiberali e nelle dittature. Che me ne faccio di tutta questa enorme libertà potenziale se poi non riesco concretamente a viverla?».

Di fronte al populismo, certa destra lo ha cavalcato e certa sinistra lo ha sottovalutato. Cosa è successo in questi anni dentro il Palazzo?

«La destra si è servita del populismo meglio della sinistra. Ma dopo il crac del '29, per esempio, in America la sinistra riuscì ad ammaestrare il populismo molto meglio della destra: sto pensando a Franklin Roosevelt. Il populismo attraversa indifferentemente destra e sinistra e stressa entrambe. Chi è stato in questi anni nel Palazzo si è distratto. Poi ha cominciato a copiare i populisti nel linguaggio e negli argomenti, pensando di recuperare consenso. Succede ancora oggi nelle forze sedicenti non populiste. Mi viene in mente quel che diceva Harry Truman: se non li puoi convincere, confondili. Ma se tu ti confondi coi populisti, somigliando a loro, non sei distinguibile da loro. E così sei destinato a perdere».

Qual è l'alternativa all'ondata populista che sembra gonfiarsi, in Italia nel mondo?

«Io credo che si sgonfierà. Nelle prossime elezioni europee le forze populiste, a eccezione dell'Italia, non sfonderanno e avremo una nuova Commissione e nuovi equilibri istituzionali in sostanziale continuità con i presenti. Anzi.

Siccome non basteranno più popolari e socialisti, l'equilibrio di maggioranza si cercherà con liberali e verdi che sono forze in teoria più europeiste. Anche la successione a Mario Draghi rifletterà questa logica. Le elezioni europee possono rappresentare il primo segnale del reimmergersi del fiume carsico del populismo nelle spelonche della Terra».

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