Eccola. «Stamattina scrivo da Las Vegas». Obama chiede soldi, stavolta. Il finanziatore riceve le mail anche per questo. Soprattutto per questo. Perché ha dato una volta e allora potrebbe dare ancora. Barack invita a fare un altro sforzo. A modo suo: «Dopo il New Hampshire abbiamo raggiunto quota centomila. Prova a pensarci: centomila donatori in due settimane». Vuole coinvolgere ancora. Vuole che tu sia il primo post centomila. Las Vegas è perfetta, allora. I soldi, l'azzardo, le scommesse. Ci prova. «Sento il momentum. Bisogna spingere questa campagna oltre. Su. In alto». Obama sente la gara. Sente Hillary, la vede vicina, attaccata, fastidiosa. Si capisce dalla mail. Lei ha fatto il porta a porta, in Nevada. Lui ha giocato diversamente. Scrive per trascinare: «Grazie a te abbiamo fatto diventare questa campagna elettorale incerta e competitiva. Nessuno l'avrebbe immaginato. Grazie, Barack». Scorri ancora. C'è un Ps: «L'ultimo dibattito è finito con una domanda inusuale. Un elettore del Nevada ha mandato una e-mail chiedendo a ogni candidato perché corre da presidente». È una domanda banale, cretina, eppure geniale. Non glielo chiede nessuno. Anche un finanziatore vuole saperlo. «Ero in vacanza con mia moglie e le mie figlie. Mi sono chiesto due cose. Numero uno: la mia famiglia potrebbe sopravvivere a una campagna presidenziale? Ho pensato: mia moglie è straordinaria e le mie figlie sopra la media, quindi sì.
Poi, che cosa posso dare a questo Paese? Che cosa posso fare meglio di qualunque altro candidato? Ho trovato la risposta: potrei riunificare il Paese. Posso parlare onestamente con gli americani. Posso renderli protagonisti del cambiamento».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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