Barbareschi: un Gattopardo di gran classe

Enrico Groppali

Fin da quando si alza il sipario ci rendiamo conto di non trovarci davanti a una banale trasposizione di palcoscenico di un grande romanzo del recente passato. Infatti lo scenografo Carmelo Giammello ci presenta la gran sala del palazzo del principe di Salina, eroe del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa, in una prospettiva sfasata. Che, come un gigantesco trompe l'oeil, sembra stia per franare su se stessa ricadendo all'indietro, nel passato di quell'epopea a cui lo sbarco dei Mille conferì un'indebita accelerazione verso i cosiddetti Tempi Nuovi. Ma questo non è il primo segnale di sconcerto fatto per spiazzare lo spettatore indicandogli che interpretazione e regia non si limiteranno a una banale rilettura per immagini del capolavoro del nobile siciliano. Dato che, in un audace percorso sulla scorta dei diari e della corrispondenza dell'autore, Salina oltre ad essere l'io narrante della saga di un ceto che, per voler che nulla cambi, decide di volgersi alla nuova classe dirigente adombrata nei Savoia è contemporaneamente Giuseppe Tomasi. E al tempo stesso Concetta, la figlia che delusa dal cugino Tancredi rinuncia all' amore seppellendosi nell'atavismo di casta di quella casa insieme solare e spettrale, assume le spoglie di Concetta figlia dell'autore come Maria Stella, consorte del Gattopardo è sia la pudica principessa del racconto che la consorte del grande homme de lettres. Facendo combaciare l'eterno presente della favola con la storia privata della famiglia, Andrea Battistini, regista non nuovo alle sollecitazioni letterarie, situa la parabola del Gattopardo nel nostro immaginario tramutando lo spettacolo in un evento nazionalpopolare che, oltre a diffondere senza svilirlo il contenuto dell'opera, procurerà nuovi adepti alle straordinarie pagine del romanzo. Così la vicenda si sviluppa assecondando una drammaturgia di sapore brechtiano dove si staglia, grandioso protagonista che fa da collegamento tra un quadro e l'altro di questa sinfonia onirica ad occhi aperti un Luca Barbareschi giunto al massimo traguardo possibile per un interprete: essere cioè il personaggio tutt'uno alla coscienza critica della storia. Ed è talmente preponderante la sua presenza di guida nei meandri della storia patria da neutralizzare, per pura virtù d'impatto, l'inevitabile didascalismo della sceneggiatura come certe concessioni al bozzettismo. Da cui lo spettacolo si riscatta grazie all'affettuosa ironia che è la sigla dominante del cast. Dove Tancredi volutamente non ricalca lo stereotipo di Alain Delon nel film di Visconti divenendo, al contrario, un piccolo figurante animato dal sarcasmo che Alfredo Angelici manovra con divertissement insidiato, sullo stesso versante, dal pittoresco contraltare di Guglielmo Guidi, un Padre Pirrone che sembra uscito da una tela del Magnasco.

Prima che sulla bellezza di Bianca Guaccero e sulla vis caricaturale di Totò Onnis cali l'implacabile ala della morte in un finale che somiglia a Zivago.

IL SOGNO DEL PRINCIPE DI SALINA:L'ULTIMO GATTOPARDO - da Tomasi di Lampedusa. Regia di Andrea Battistini, con Luca Barbareschi. Milano, Teatro Manzoni, fino al 3 dicembre.

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