
Adorando il cinema, e anche le cronache mondane, quando ieri abbiamo visto la prima pagina di un giornalone con due grandi foto affiancate di Robert De Niro e Gérard Depardieu, ci siamo fiondati a leggere l'articolo. Che non c'era, né in prima pagina né all'interno. C'era solo un occhiello, «Insieme nel film Novecento, due destini opposti: De Niro Palma d'oro, Depardieu condannato per abusi» e un titolo corpo 90: «Uomini e no».
Ormai per passare nella categoria untermensch, il subumano, basta poco: una condanna a 18 mesi per un'aggressione sessuale risalente al 2021. A De Niro è andata bene: nel 2023 fu accusato dalla sua assistente di atti sessisti e finì in tribunale per discriminazione di genere; ma se la cavò con 1,2 milioni di dollari di risarcimento. E così, lui, resta «un uomo».
Poi abbiamo letto le dichiarazioni di De Niro a Cannes: «L'arte fa paura al fascismo». Che, semmai, la adorava. Fondò la Mostra del cinema di Venezia, la Quadriennale di Roma, varò la legge Bottai sui Beni culturali, editò la Treccani e fior di riviste... Ma questo, uno di New York, non può saperlo. Va bene così.
Resta, però, quel titolo. Uomini e no, dal romanzo di Elio Vittorini (scrittore peraltro fascista, sebbene «di sinistra»). La volta che lo usò l'Espresso, affiancando Soumahoro e Salvini, non andò benissimo.
E comunque, Claudio Pavone, partigiano e storico, diceva che quel titolo partigiani «uomini», repubblichini no - gli sembrava «razzista». «Forse che i fascisti (o chi molesta una donna, ndr) non sono anch'essi uomini?», si chiedeva.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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