Cultura e Spettacoli

Barenboim: «La Scala? È sempre un’emozione»

Dopo trent’anni di assenza il direttore sul podio venerdì. Dirigerà la Nona di Beethoven

Piera Anna Franini

da Milano

Non saliva sul podio della Scala dal 1975, dopo un'assidua presenza avviata nel 1966. Ritorna nel teatro milanese venerdì, per il Concerto di Natale, con la Nona Sinfonia di Beethoven. È Daniel Barenboim, l’artista ebreo-russo cresciuto fra Argentina e Israele, pianista dai trascorsi prodigiosi e direttore di lungo corso con una collaborazione stabile con la Deutsche Staatsoper di Berlino e, pur agli sgoccioli (nel giugno 2006), con la Chiacago Symphony Orchestra. Il ponte Scala-Barenboim si salderà nel 2007 con un’inaugurazione di stagione (Tristan und Isolde di Wagner) e l’omaggio a Toscanini. Nel frattempo, in giugno, spunta un recital pianistico. Barenboim è l’uomo che il Sovrintendente Lissner ha incluso tra gli ospiti eccellenti che segneranno la fase di interregno di una Scala orfana del direttore musicale. «Dopo trent’anni di assenza non posso dire di rivedere l’orchestra della Scala, gli orchestrali sono cambiati. Avverto, comunque, la tradizione musicale di altissimo livello segnata dalla presenza prima di Abbado e poi di Muti», ha spiegato Barenboim dopo le prove di lunedì e di ieri.
Trent’anni di assenza dal podio scaligero difficili da spiegare e interpretare. «Muti più volte mi ha invitato, non ho accettato per questioni di tempo - sottolinea Barenboim -, ora si sono unite due coincidenze: la fine del mio mandato a Chicago e la possibilità di realizzare Tristano con Chereau, progetto che slittò ben due volte». Il primo settembre porterà a Milano, in prima italiana, la West-Eastern Divan, l’orchestra che lei ha fondato nel ’99 e dove confluiscono musicisti israeliani e del Medio Oriente. «Non è da considerarsi un’orchestra di pace, ma permette a giovani di diverse provenienze di esprimersi gli uni a confronto con gli altri». Al di là del leggio, ci si domanda quali siano i rapporti artistici tra questi musicisti... «Vi sono giovani che colgono la possibilità di parlare apertamente e spiegare la propria posizione. C’è poi chi è mosso dall’unico obiettivo del fare musica».


Ma cosa rappresenta dunque per Barenboim la musica? «Una creazione umana prima che un fenomeno sonoro, un’esperienza di vita. Non sempre viene percepita così. E ciò anche da professionisti: mi capita di dire a orchestrali che la loro vita inizia dopo le prove, ciò si verifica quando il mondo dei suoni non ha relazioni con l’esistenza».

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