Cultura e Spettacoli

Barrès, una sola nazione per tutti i nazionalismi

Persino l’affascinante Élisabeth de Gramont, protagonista della vita mondana della Francia delle Belle Époque e modello della duchessa di Guermantes, subì, malgrado le simpatie per il marxismo che le avrebbero valso l’appellativo di «duchessa rossa», il fascino di Maurice Barrès (nato a Charmes il 19 agosto 1862 e morto a Neuilly-sur-Seine il 4 dicembre 1923).
Nei Souvenirs du monde, la nobildonna ricorda spesso lo scrittore nazionalista: trema quando avvicina quella «specie d’eremita, isolato nella sua incandescenza», ma confessa che Barrès era «un ornamento architettonico» della sua «cittadella interiore». Del resto, egli era presente, se non di persona almeno come oggetto di conversazione o di culto, nei salotti francesi. Il pettegolo Journal di Edmond e Jules de Goncourt (del quale esiste un’impeccabile edizione italiana pubblicata da Aragno) ne dà conto in una frizzante girandola di aneddoti.
A Barrès è stata riservata una fortuna storiografica che ne sottolinea la centralità nella storia politica e intellettuale francese ma non cela la persistenza di sentimenti contrastanti e passioni non sopite. Ora un denso volume collettaneo, Maurice Barrès, la Lorraine, la France et l’étranger (Peter Lang, pagg. 520), curato da Olivier Dard, Michel Grunewald, Michel Leymarie e Jean-Michel Wittmann, offre un ritratto a tutto tondo di quest’uomo, contemporaneo di Maeterlinck e D’Annunzio, Rolland e Maurras, Alain e Claudel, Gide e Proust.
Nato in una cittadina del dipartimento del Vosges, Barrès si sentiva lorenese. Il ricordo straziante della perdita della Lorena lo spinse a considerarsi un déraciné e a trasformare la regione in un’idea-guida manipolabile e glorificabile dalla letteratura e dalla politica. Barrès ebbe una formazione culturale classica e incontri intellettuali con storici, come Taine e Renan, il cui influsso si ritrova nelle sue riflessioni storico-politiche.
Esteta e artista incomparabile, nel quale certo romanticismo con venature nietzschiane si decanta nell’individualismo lirico e nell’anarchismo letterario del Culte de moi, Barrès espresse la crisi e il disorientamento filosofico e morale della sua generazione. Possedeva una straordinaria capacità mitizzante: le alture della Lorena divennero les collines inspires, l’Alsazia si trasformò nel bastion de l’Est e la patria in esprit. Non si muoveva secondo schemi ideologici, procedeva per intuizioni di insolita potenza suggestiva ed eccezionale vigore polemico: il livello letterario e l’eleganza dei suoi scritti, articoli e romanzi, fecero presa sui ceti più colti e sul mondo intellettuale francese ed europeo. Forte fu la presenza culturale di Barrès in Italia. A prescindere da D’Annunzio, le sue idee suggestionarono un protofuturista come Mario Morasso (autore di un volume il cui titolo, L’egoarchia, richiama il Culte de moi) e alcuni nazionalisti italiani a cominciare da Scipio Sighele.
Per quanto passato alla storia come icona del nazionalismo, Barrès non ne ha fornito una vera teoria. I suoi capisaldi debbono essere dedotti dai romanzi. L’unico scritto con una valenza ideologica è il Programme de Nancy col quale egli nel 1889 si presentò alle elezioni, mentre il solo libro che richiama il nazionalismo è una raccolta di articoli intitolata Scènes et doctrines du Nationalisme. Vi si trova un passo famoso: «un nazionalista è un francese che ha preso coscienza della sua formazione. Il nazionalismo è l’accettazione di un determinismo». È un’affermazione illuminante: chiarisce come Barrès avesse consacrato alla Francia una passione totale ed esclusiva. In altre parole, per lui il nazionalismo si riduceva a riportare ogni questione alla Francia, una Francia inalterabile ed eterna pur attraverso mutamenti di regime. Non esistevano, per Barrès, Francia consolare e Francia monarchica, Francia del 1830 e Francia del 1848, Francia dell’impero autoritario e Francia dell’impero liberale: erano tutti frutti di stagioni diverse maturati su un medesimo albero.
La continuità della storia francese è, insomma, alla base della concezione politica di Barrès: se la coscienza nazionale è il precipitato dell’unità morale del Paese, la Francia è una composizione armonica tenuta insieme da un legame morale indipendente dal trascorrere del tempo. Dovere dei nazionalisti sarebbe stato rinsaldare tale legame ancorando la coscienza francese «alla terra e ai morti».

Eppure, malgrado il suo carattere così tipicamente francese che Benedetto Croce avrebbe definito «lussurioso e sadico», il pensiero di Barrès avrebbe varcato i confini della Francia.

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