Politica

Una barriera contro le invasioni

Il Csm pretende di dire la sua sulle leggi che il Parlamento approva in materia di giustizia. Il Parlamento, per bocca dei presidenti di Senato e Camera, prova a mettere i paletti a questa pretesa di dar pareri. La legge sull'ordinamento giudiziario è l'occasione che fa deflagrare il contrasto.
Ecco gli interrogativi: può il Csm dare questi pareri? E se sì, lo può fare di sua iniziativa o deve aspettare che qualche altro organo glieli chieda? A chi deve essere rivolto il parere, al Parlamento direttamente o al solo ministro della Giustizia?
Non si tratta di cavilli da azzeccagarbugli. Un esempio solo: se il parere lo fornisco su richiesta, è un conto. Ho fatto quello che mi si chiedeva, e pazienza se il mio parere non piace, tanto non vincola il suo destinatario. Ma se decido di mia iniziativa di fare un bel dibattito e un parere-denuncia sulla legge, la questione assume un significato politico-istituzionale del tutto diverso, qualcosa di non lontano da un'ingerenza.
Nelle scorse settimane si è svolto di fronte alla Consulta un capitolo di questo contrasto. Raccontando questa vicenda si riescono forse a capire meglio le ragioni della polemica durissima di questi giorni (sperando non faccia velo alla serenità delle considerazioni che seguono il fatto di provenire da colui che ha difeso le ragioni del Parlamento, e in particolare del Senato, anche in qualità di avvocato).
Oggetto del contendere era non già la legge di riforma dell'ordinamento giudiziario, ma un'altra legge appena approvata dalle Camere: quella che riammette in servizio i magistrati costretti alle dimissioni a causa del coinvolgimento in un processo penale, poi conclusosi con la loro assoluzione. Si trattava obiettivamente di una legge tesa a risarcire i magistrati per la grave ingiustizia subìta. Ma il Consiglio superiore, anziché dare ad essa applicazione, ha ritenuto di impugnarla di fronte alla Corte costituzionale, utilizzandola come bersaglio di una serie di bordate giuridiche di non poco conto.
Inusuale, intanto, la circostanza che il Consiglio abbia pensato di impugnare la legge direttamente di fronte alla Consulta. Per solito, le leggi sospettate d'incostituzionalità arrivano alla Corte per il tramite della cosiddetta «eccezione d'incostituzionalità», un incidente che nasce in un processo nel quale la legge abbia da essere applicata. Ma la bordata più ad effetto è consistita appunto nel lamentare che il Parlamento avesse approvato quella legge senza chiedere il previo parere del Consiglio superiore. Il ricorso sosteneva anzi con chiarezza che, nel nostro sistema, il principio di leale collaborazione tra poteri impone che su tutte leggi in materia di giustizia e di ordinamento giudiziario il legislatore debba preliminarmente sentire l'opinione del Csm.
Su questa tesi la Consulta non si è pronunciata. Essa infatti ha arrestato subito il proprio esame, dichiarando inammissibile il ricorso proprio per quella particolarità che prima si indicava: le leggi sospette non si portano direttamente di fronte alla Consulta quando è possibile denunciare la loro incostituzionalità in un processo (che in questo caso risultava tranquillamente attivabile dagli stessi magistrati interessati, che potevano e possono impugnare l'inerzia del Csm nel riammetterli in servizio).
Ma anche se la Corte nulla ha potuto dire in proposito, la tesi del previo necessario parere del Csm sulle leggi in materia di giustizia è obiettivamente una tesi massimalista, che non trova appoggio nella Costituzione e che senza dubbio trasformerebbe il Csm in una «terza camera». Una tesi che possiamo dunque archiviare.
Sugli altri interrogativi, bisogna pazientemente partire dalle norme. La legge (non la Costituzione) dice che il Csm dà pareri al ministro sulle leggi in materia di ordinamento giudiziario e di giustizia. Se chiarisce che destinatario dei pareri è il ministro e non il Parlamento, apparentemente non dice se questi pareri possano essere dati d'iniziativa o solo su richiesta. Ma qui soccorrono i principi: i pareri si danno su richiesta perché, altrimenti, diventerebbero qualcosa di molto diverso, avvicinandosi a ciò che i giuristi chiamano «proposte». L'obiezione è: ma allora è sufficiente l'inerzia del ministro, che non chiede il parere, a paralizzare questa facoltà del Csm. Obiezione non convincente, perché il Csm non nasce come un puro organo consultivo, la cui utilità possa essere azzerata dal fatto che nessuno chieda il suo consiglio. Il Csm ha primariamente funzioni di amministrazione della carriera dei magistrati. Questo è l'oggetto principale del suo lavoro. In più, può dare pareri al ministro, se il ministro glieli chiede.

E la circostanza che la prassi dica talvolta qualcosa di diverso è da annoverare tra quegli sconfinamenti che, ora, i presidenti delle Camere non sembrano più disposti ad accettare.

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