Basiliche, in una sola piazza nove tipi di lampioni diversi

Continuano le segnalazioni da parte delle «spie di quartiere» delle brutture cittadine: dagli arredi urbani «scompagnati» ai ruderi a cielo aperto

Marta Bravi

«Sarà anche che 3 è il numero perfetto, e quindi il 9 essendo multiplo di 3 è considerato un numero magico, ma che ci siano 9 - dico 9 - diversi tipi di lampioni in una stessa piazza è veramente una vergogna». Chi scrive è Giovanni De Nicola, milanese che ha deciso di sfogarsi con l’assessore Vittorio Sgarbi e con il Giornale a proposito del sovraffollamento di tipologie di lampioni della luce che popolano il parco delle Basiliche di piazza Vetra.
Continuano ad arrivare in redazione lettere, segnalazioni, fax di cittadini che desiderano segnalare brutture della loro Milano. Meno di una settimana fa, infatti, si è tenuto il primo incontro del Comitato per la vigilanza estetica della città, durante il quale era emersa la mancanza di una linea comune per l’arredo urbano, definito, in alcuni casi, «veramente orrendo». Come i lampioni giallo-rossi di corso Lodi che avevano scatenato le ire dell’assessore Sgarbi che li aveva definiti «il delirio di un pazzo, un orrore da eliminare».
Sembra, insomma, che tra il critico e la cittadinanza si sia instaurato un filo diretto, una sintonia di gusti e passione, a giudicare da quanto scrivono i cittadini. Il lettore Stefano Gorni, per esempio, impallidisce ogni volta che passa davanti ai lampioni della luce della zona Fiera: «I lampioni di via Previati, via Alberto Mario e dintorni - scrive - sono obbrobriosi. Fondi di magazzino dell’Anas, avanzi di tangenziale. Insomma, un vero scempio».
Per non parlare della casa di via Lecco all’angolo con viale Tunisia, passata agli onori delle cronache quest’inverno perché occupata da un centinaio di immigrati: «Ebbene, questo rudere è tale da almeno un ventennio. Ora per paura che venga rioccupato - denuncia Maria Grazia Colucci - hanno murato anche le bocche di entrata del piano terra dando all’edificio un’aria ancora più squallida e inquietante (se questo è possibile)». Vittima del degrado è anche il quattrocentesco convento agostiniano di corso Garibaldi. A denunciarlo, con grande calore, è addirittura il viceparroco della chiesa, don Federico Gallo, sinceramente preoccupato per la sorte del monumento: «Dai giorni di Napoleone il quattrocentesco chiostro e i locali adiacenti appartengono al Comune, cui la nostra parrocchia e la scuola Montessori pagano l’affitto. Potete immaginare il degrado che la struttura continuamente subisce, per via del trascorrere del tempo, delle intemperie, dei giochi dei ragazzi. Non si potrà far nulla per riqualificare questo gioiello?», si chiede sconsolato il parroco.


Un appello arriva anche dal lettore Edoardo Vitali, il quale segnala l’abbandono delle edicole sacre che ancora resistono all’usura del tempo ma non all’indifferenza e all’incuria come l’edicola all’interno del cortile di via Ascanio Sforza e quella che domina l’incrocio tra Ripa di porta Ticinese e via Argelati, che giace in completo stato di abbandono.
Insomma i milanesi hanno lasciato cadere ogni barriera e, adesso che hanno un interlocutore interessato, sono veramente scatenati.

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