«Il basket patisce il dominio Siena? Colpa di chi perde»

Il gonfalone della Mens Sana Basket entra a Siena da porta Camollia con la coccarda del quarto scudetto. Per la città è finita la stagione dell'amore, da ieri è iniziato il periodo di guerra del Palio, mentre la società più forte d'Italia si è già messa a programmare il futuro, cominciando dalla riconferma di Shaun Stonerook, studiando la strategia per anticipare i predoni d'Europa che vorrebbero i migliori della squadra campione d'Italia.
Mosse mirate, anticipate, andando alla ricerca di forze nuove, studiando l'assetto per poter vincere anche in Europa. Sembra tutto semplice, ma se ascolti i lamenti di chi è fuori dalle mura, di chi, pur perdendo da tre anni, non impara nulla, disfa la tela, disfa le squadre, le brucia, allora ti rendi conto che si potrebbe andare avanti con questa tirannia delle idee, del gioco, per molto tempo. Proprio a Siena, non tanto tempo fa c'era un purosangue di nome Urbino che dopo due vittorie nel Palio venne lasciato fuori dai canapi per manifesta superiorità: non scartato, si pregarono i proprietari di non presentarlo neppure alla tratta.
Col basket, nello sport, non si può fare, ma la domanda stuzzica comunque e l'abbiamo rivolta a Dino Meneghin, il presidente della federazione che nella sua storia sportiva ha vissuto, prima con Varese, poi con la Milano di Peterson, due periodi aurei in cui si diceva la stessa cosa delle squadre dove giocava lui. Volevano mandarlo altrove, lo consideravano arma letale ed illegale. Non accadde, per fortuna.
Il presidente, appena rientrato dalla Lettonia dove ha visto rifiorire la nazionale femminile che non entrava fra le prime otto d'Europa - argento con la guida di Riccardo Sales - da 14 anni, è andato a Borgomanero per seguire la Nazionale maschile, diciamo una selezione di speranze molto diversa da quella che vedremo nelle qualificazioni europee di agosto, pronta per i Giochi del Mediterraneo a Pescara dove si trasferirà nei prossimi giorni dopo il torneo di Biella.
Caro Presidente, tutti hanno fatto mille domande per spiegarsi la sua assenza sulle tribune del Forum nel giorno in cui veniva assegnato lo scudetto.
«Era il presidente di Lega che doveva essere al centro di tutto, il campionato è la massima espressione del movimento ed è giusto che siano le società le vere protagoniste. Non è nel mio stile invadere il campo. Ho visto, ho seguito, ho applaudito come tutti la vittoria dei più forti».
Già, i più forti, ma la cosa sembra annoiare, ci sono persino correnti di pensiero che considerano un vero male questo dominio senese, una cosa ridicola...
«Davvero, perché sul campo trionfa la programmazione seria di una grande società. Nello sport non inventi niente, si costruisce giorno per giorno e Siena lo ha fatto e continua a farlo. Una squadra del genere non è nata ieri. Ha sempre fatto un passo avanti, aggiungendo uno, due giocatori dove serviva, ha tenuto lo stesso allenatore, ha difeso il progetto nato nella casa madre e tutti quelli che lavorano nella Mens Sana, mi pare, sono cresciuti alla stessa scuola. Se scegli i giocatori guardando prima all'uomo, a chi è pronto al sacrificio personale per il bene del gruppo allora vai molto avanti: meno titoli individuali da difendere, più titoli collettivi da vincere».
E non è che gli altri spendano tanto di meno, soprattutto Milano che può anche perdere, ma la legnata di gara quattro è stata umiliante.
«Però la gente ha capito che dopo quell'inizio di partita l'Armani non aveva più risorse mentali per rientrare in gioco, non era cattiva volontà».
Troppo forti i toscani...
«Con Siena è così, la dominazione è ormai evidente, capitò al Simmenthal Milano, capitò a Varese, successe ancora con Milano, con la Virtus Bologna, con la Benetton. Bisogna creare alternative».


Come?
«Quando è nata questa Siena comandavano altri... Vuol dire che la società ci ha lavorato sopra ed ecco dove sono e siamo arrivati. La verità è che non sono i migliori che fanno male al movimento, loro lo aiutano a crescere, ma bisogna capire come si deve fare».

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