Addio Marco, mitico Marine che sapeva combattere

Bonamico ci lascia a 68 anni: tradì la "sua" Virtus con i cugini della Fortitudo

Addio Marco, mitico Marine che sapeva combattere
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Se ne è andato nella notte Marco Bonamico, uomo di ferro, campione di basket, cavaliere che aveva fegato, sapeva combattere, ma proprio il fegato lo ha tradito a 68 anni.

Dicono che la morte sia terribile per quelli che con la vita perdono tutto, ma non per quelli la cui lode non potrà mai morire. Per il nostro genovese errante sarà proprio così, come diceva Cicerone, perché nel suo viaggio, guardando il mondo dall'alto ha saputo conquistarlo: per il talento, per il cuore, per la voglia di battersi anche quando doveva litigare con se stesso.

Il grande viaggio comincia nella fortezza di Dan Peterson alla Virtus Bologna perché il giovane che diventerà marine sul campo può servire per disinnescare i cannoni della Ignis di Sandro Gamba. Baci e abbracci e poi, cosa clamorosa, ecco il passaggio alla nemica Fortitudo, cosa che Bologna ha perdonato a pochi, a lui, come a Belinelli, di sicuro. Ritorno a casa, ma l'anno dopo altra valigia pronta questa volta per andare a Siena e poi per ritrovare Peterson a Milano nel 1979. Anche all'Olimpia amore e tempeste. Lo riprende la Virtus e questa volta sarà un viaggio più bello, più lungo, sei anni, un altro scudetto, quello della stella con Alberto Bucci, battendo proprio Peterson e Milano nel palazzo che poi cadrà sotto la neve e gli anatemi del Nano ghiacciato che odiava l'arena dove il pubblico stava troppo lontano. Rifugio a Napoli nel 1986 e poi di nuovo Bologna, la sua Virtus prima di chiudere a Forlì e Udine una carriera dove ha lasciato ancora affetti e una bella traccia.

Accompagnandolo verso il viaggio finale, siamo sicuri, chiederà di fermarsi per discutere ancora un po' con l'avvocato Porelli che gli ha voluto bene, ma lo ha anche sgridato spesso. Di sicuro i suoi ex compagni di nazionale porteranno la maglia che portava alle Olimpiadi di Mosca quando vinse l'argento nel 1980 e poi quella dell'oro europeo a Nantes nel 1983 sempre guidato dalla grande coppia Gamba-Sales.

Basket imparato da vecchio, diceva lui al suo amico Martini, al fratellone Villalta, al Brunamonti che dirigeva l'orchestra al fotografo Roberto Serra con cui divideva pensieri e l'ultimo appartamento.

Vita che lo ha visto combattere sempre, quando ha smesso di giocare è rimasto nella mischia. Aveva imparato a difendere, ma anche ad attaccare, tirava da tre, tirava schiaffoni. Lo ha fatto anche dopo come dirigente perché le litigate con Porelli gli avevano insegnato a lottare sempre per quello in cui credeva. Presidente dell'associazione giocatori fra il '96 e il 2000 e nel 2009 persino presidente della Lega due, onori, oneri e non tanti soldi. In mezzo la scoperta del basket raccontato e con Franco Lauro fu lui la voce che ci fece vivere l'impresa della nazionale di Recalcati, medaglia d'argento ai Giochi di Atene nel 2004.

Gli amici veri lo hanno salutato nella vecchia taverna di Ugo Bartolini.

Nino Pellacani, Zatti, Ragazzi sono forse gli ultimi che lo hanno visto vivo, le medicine lo avevano già stordito, con la testa ha fatto segno che ricordava quelle belle facce di compagni e avversari, ma ormai se ne stava andando. Lottando. Come sapeva fare lui che alla fine ha detto sono pronto. Ciao Marco e non litigare anche con i santi.

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