Basta artisti maledetti. I veri ribelli sono altri

Come previsto, il popolare Morgan sta costruendo una florida azienda sul proprio dramma in polvere. Ora martire, presto eroe. Siamo tutti pronti a comprendere, giustificare, perdonare. Come nazione misericordiosa, ci stiamo esprimendo ad altissimo livello. Saremmo perfetti, se solo fossimo così caritatevoli anche con i tossici delle stazioni ferroviarie, che invece schiviamo infastiditi e volentieri lasciamo ai temerari delle comunità. Siamo così presi in questa enfatica catarsi televisiva, che abbiamo dimenticato una distinzione di base, magari un po' cruda e sgradevole, comunque fondamentale: la cocaina non è la droga del disagio sociale, è la droga dei viziati e dei viziosi. Niente: al momento la pietà è tutta per il povero mito infranto. Morgan, l'artista maledetto, genio e sregolatezza, eccentrico e anticonformista. Fuori dal coro e fuori dagli schemi. Fuori.
Ecco, solo su questo preciso punto, una calorosa richiesta: per favore, basta con la stucchevole storia del genio dannato. A furia di leggere e di ascoltare disquisizioni sul caso Morgan, c'è il serio rischio che molti diano per indissolubile il legame tra arte e maledizione. Tra arte e perdizione. Sì, come un'equazione: grandi cervelli e tanta cocaina. Proprio non se ne può fare a meno: dammi una pista e ti creo il capolavoro.
Ma guardiamoli, questi artisti maledetti. Tutti uguali. A forza di ripetersi e di replicarsi, sono diventati la banalità. L'ultimo modello di conformismo. Sono scontati e prevedibili, si sa già dove stanno, cosa pensano e come si pongono. Due canzoni, un posto in televisione, quattro soldi, tanta notorietà: e via con la coca. Sarebbero eccentrici, provocatori, fuori dagli schemi. Ma diciamolo, una buona volta, a costo di fare della grassa demagogia: ormai è più originale e stravagante l'operaio di fonderia, che nell'era informatica si ostina a fare le notti al suo bell'altiforno, senza neppure tenersi su con la coca.
Analizziamolo, questo artista maledetto chiamato Morgan, ultima icona del genere. In quanto artista geniale, per fare carriera televisiva s'è sentito in dovere di vestirsi ogni volta come a Carnevale. Ad un certo punto, per stupire davvero, s'è persino fatto montare un mastodontico ciuffo ribelle in cartongesso. Però, che genio. Di rottura, molto contro: tuttavia ben felice di stare lì tra la Ventura e Claudia Mori (o è Mamma Ebe?). Perché si notasse la differenza, perché comunque capissimo che stava lì da estraneo, proveniente da un'altra galassia, un po' di turpiloquio e tanta irriverenza. Caspita, l'artista maledetto.
E quando poi si fa pescare con l'esplosiva intervista a Max - vuoi dire cose normali su Max? -, non affronta a busto eretto la situazione, assumendosi con dignità le responsabilità del ruolo, no, la cosa più «contro» e più «anticonformista» che gli viene da dire è «mi hanno frainteso, non volevo dire questo, sono caduto in un tranello». Via, Morgan: come un qualunque consigliere comunale dell'Udc...
Se è questo che vogliamo, se è questo che ammiriamo, bravo Morgan. Viva Morgan. Segno che il nostro gusto e la nostra estetica, ormai, non possono spingersi oltre il banale stereotipo. Però, fermiamoci qui. Non facciamola lunga con la poetica teoria dell'artista maledetto. Questo modello è liso e inflazionato. Non stupisce più nessuno. E comunque è pure una colossale bugia. Certo la storia della creatività umana è costellata di geni maledetti: ma non solo. Per un Baudelaire o un De Quincey che creavano tenendosi su a porcherie, c'è pur sempre un normalissimo Tolstoj che si premura di stupire con questa autentica provocazione: «L'ordine è la prima condizione dell'arte». E se vogliamo scendere in ambiti più affini al caso Morgan, è risaputo come il più grande genio della nostra musica moderna, Lucio Battisti, conducesse un'esistenza schiva e moderata, senza additivi aggiunti. Quanto meno, non esibiti. Proprio così: c'è Maradona e c'è Gascoigne, ma ci sono anche Pirlo e Van Basten, tranquilli e ordinari, comunque senza alcun bisogno di dannarsi in turpi vicissitudini per esprimere l'arte del proprio mestiere.
Allora tanti auguri a Morgan, perché quando avrà finito il giro delle sette chiese in tv possa dedicarsi davvero un po' a se stesso. L'augurio più importante è che sappia liberarsi della coca, ma anche di questa schiavitù del ruolo.

L'artista maledetto, come tipo umano, ha rotto l'anima. È obsoleto. Ce ne sono troppi, troppo uguali l'uno all'altro. Per essere davvero artisti, oggi come sempre, c'è una sola condizione: avere qualcosa da dire, non qualcuno da imitare.

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