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Basta con le elezioni, Parigi pensi ai conti

I francesi scendano dal piedistallo: anche loro devono varare una manovra-monstre se vogliono difendersi dalla speculazione. Entro due anni il deficit va tagliato di 50 miliardi. E c'è l'incognita crescita

Basta con le elezioni, 
Parigi pensi ai conti

La speculazione finanziaria, in parte razionale e in parte irrazionale, non risparmia nessuno, un po’ come la peste di Milano, ai tempi di fra Cristoforo, quando colpiva anche i «bravi», che sino al giorno prima facevano i gradassi. Ed ora è la volta della Francia, la cui Borsa, da vari giorni chiude al ribasso, mentre il divario fra tasso di interesse sul debito francese e su quello tedesco si sta ampliando, anche se è molto meno del nostro. Si potrebbe dire che la Francia è il più debole dei Paesi europei forti, mentre l’Italia è il più forte fra i Paesi europei deboli. Nemmeno i francesi, dunque, sono immuni dalla crisi. Nonostante la loro tendenza a sentirsi i primi della classe.
Nessuno pensa che la Francia possa diventare insolvente, dato che il suo debito sul Pil è circa l’82% e il suo tasso di crescita, sovrastimato al 2,5%, comunque nel 2011 non sarà inferiore al 2% e rimarrà vicino al 2%. Il nostro debito ha sfiorato il 120 % del Pil e sta ora scendendo verso il 15%, grazie al fatto che il nostro deficit nel 2011 sta scendendo al 3,5%, dal 5% del 2010. Invece la Francia, che prima della grande crisi aveva un debito poco sopra il 60%, nel 2011 ha ancora un deficit del 7% del Pil. E nel 2013, anno in cui l’Italia, secondo il nostro piano di stabilità approvato dal Consiglio europeo doveva arrivare allo 1,7% e ora deve arrivare al pareggio, la Francia secondo il suo piano di stabilità, anch’esso approvato da Bruxelles, deve scendere solo al 3%. In due anni Parigi dovrebbe tagliare il deficit di 4 punti di Pil. La scommessa si gioca sul tasso di crescita del Pil del 2% annuo e sulla capacità di contenere le spese. Ma anche nell’ipotesi irreale che le spese fossero bloccate sull’attuale livello in termini reali, aumentando solo del tasso di inflazione, le entrate nel biennio aumenterebbero al massimo di 2 punti di Pil.
Dunque, la Francia nel biennio deve tagliare di almeno 50 miliardi il suo deficit (essendo il suo Pil annuo di 1.900 miliardi): una maxi-manovra, a cui i francesi non sono preparati. È naturale che, dato ciò, vi sia una speculazione al ribasso sui titoli francesi. Infatti se il tasso di crescita reale del Pil francese nel 2011 fosse del 2% e il tasso di inflazione rimanesse al 2%, il Pil francese nel 2011 in moneta aumenterebbe del 4,5%. E con un deficit del 7%, il debito sul Pil è destinato ad aumentare di 7 punti, diminuiti di 4 punti dovuti all’aumento nominale del Pil. Dunque il debito nel 2011 aumenterebbe di 2,5 punti di Pil, e nel 2012 aumenterebbe di altri due. Poiché la base di calcolo, data dal rapporto fra debito e Pil, per la Francia non è 100%, ma circa 80%, ogni punto di Pil di aumento del debito fa accrescere il rapporto debito-Pil di circa l’1,2%%. Un aumento del debito all’87% non è escluso. E se nel 2013 Parigi non riuscisse a arrivare a un deficit del 3% del Pil, ma rimanesse al 4,5% e crescesse dell’1,5% e l’inflazione del 2,2%, il rapporto debito-Pil della Francia subirebbe un altro aumento di oltre un punto.
Per la legge della domanda e dell’offerta, il tasso di interesse su un debito maggiore sarebbe maggiore. E la speculazione, facendo scendere il debito esistente, ne aumenta il rendimento. Ora a Sarkozy compete rassicurare il mercati che nel 2013 arriverà al deficit del 3%. La sua grandeur vacilla, ma non ha uno sfidante autorevole a sinistra. Però Francia e Italia hanno una forza sottostimata che deriva dalla buona propensione al risparmio delle famiglie e dal fatto che hanno una economia differenziata con due f e due t, ossia food e fashion e turismo e tecnologia. Insomma, mal comune mezzo gaudio? Non proprio.

Ma almeno si dovrà dire che «nessuno è perfetto».

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