Abbastanza sotto tono la politica italiana, cè una notizia che sta facendo divampare il dibattito e, quando si tratta di animali, si è daccordo o contrari in modo affatto trasversale. Presto potremmo dire addio alla carne di cavallo sulle nostre tavole. Potrebbe succedere se dovesse diventare realtà una proposta di legge che prevede il divieto di macellazione degli equini. A spingere per il divieto, in prima fila il sottosegretario alla Salute, Francesca Martini che crede si debba «assicurare dignità e rispetto» al cavallo, esattamente come già accade per il cane e il gatto che nessuno si sognerebbe di mangiare. Fatto sta che la proposta però si scontra con chi, per antica tradizione o per interessi di bottega, non vuole rinunciare ai piatti che, in molte regioni dItalia, contemplano gli equini (quindi anche asini e muli) quali principi del desco: nel senso di carne che, elaborata in un modo o nellaltro, finisce nel piatto.
La proposta dello stop alla macellazione equina è partita a novembre, grazie a Paola Frassinetti, vicepresidente della Commissione Cultura alla Camera e ha già incontrato il favore di uno sponsor «pesante», lattuale ministro delle Politiche agricole Luca Zaia, da sempre contrario alla commercializzazione di carne di cavallo. Dobbiamo riconoscergli un notevole coraggio, per questa presa di posizione, proprio quando si appresta a divenire presidente di una regione, il Veneto, che contempla molti piatti tradizionali e una discreta quota di consumo, con il suo 7,6% su scala nazionale. Certo, ben poco in confronto alla Puglia che ne consuma il 32%, mentre la Lombardia si colloca al 14,3 il Piemonte al 10,8, lEmilia Romagna al 9,2 e il Lazio al 5,5%. La media procapite è di circa 1 Kg, in calo costante, segno di unevoluzione culturale probabilmente legata ad una sempre più estesa identificazione del cavallo come animale «da compagnia». Non la pensano certo così macellai, commercianti e ristoratori e ho la sensazione che, anche tra la gente comune, ci saranno parecchie resistenze ad abbandonare una carne il cui consumo è stato spinto nei decenni addietro da medici e nutrizionisti convinti, a loro volta, che «facesse buon sangue», quindi molto utile ai convalescenti, agli anemici, ai donatori di sangue e a chi abbisognava di un regime carneo povero di grassi. Ascoltavo ieri il Tg del Veneto che riportava le reazioni di macellai e ristoratori. «Ma perché abolire una tradizione che affonda le radici nella cultura di un popolo?» si chiedeva un macellatore con lo sguardo tra lo smarrito e lo stupito. «E che ne sarà della pastissada di cavallo?» si chiedeva atterrita una cuoca, quasi la sua mancanza potesse ridurla sul lastrico.
In realtà non è la prima volta che si chiede ai governi di cessare la macellazione di specie animali che, nella realtà attuale, sono diventate «da compagnia», specie se si pensa alle torture loro inflitte nei trasporti. Su questa base, pochi anni fa, la Federazione Italiana Sport Equestri e gli Animalisti Italiani indirizzarono allallora governo Prodi una proposta in tal senso. Il tutto è caduto poi nel tritacarne del dimenticatoio.
Ho già scritto più volte che è arduo sostenere, dal punto di vista morale, una sorta di «superiorità» di una specie sullaltra, ma se pensiamo a ciò che sono stati gli equini per lo sviluppo delluomo, nelle comunicazioni, nei trasporti, negli eventi bellici e nelle campagne, direi che della pastissada possiamo anche farne a meno.
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