«Basta samba adesso la mia banda suona il rock»

Caetano Veloso pubblica «Cê», disco per chitarra, basso e batteria che segna una svolta nello stile dell’artista. «Poi un cd acustico»

Antonio Lodetti

da Milano

Caetano Veloso ha mille anime artistiche. Credi di conoscerlo fino in fondo, quel suo modo aggraziato di trasformare i suoni brasiliani in preghiera popolare, credi di saper tutto sulla sua voce e la sua chitarra che si inseguono tra grazia melodica e ritmi elastici unendo l’eco pagana del carnevale e l’eleganza del jazz, le suggestioni del «candomblé» e gli impulsi rivoluzionari della bossa nova, e alla fine lui ti spiazza viaggiando verso nuovi lidi... Da antiamericano purosangue due anni fa ha scosso i puristi rivisitando a modo suo classici che vanno da Duke Ellington ai Nirvana in A foreign sound; ora lo fa affrontando a viso aperto il rock con l’inquieto e originale Cê in uscita in questi giorni. «I brani dell’album - commenta Veloso - sono brevi e sono stati scritti per chitarra, basso e batteria, con l’aggiunta in qualche pezzo delle tastiere. Per questo hanno struttura e suono simili alle canzoni rock. Penso che questi brani abbiano quello spirito libero che, al tempo del tropicalismo, mi ha portato a interessarmi alla musica giovane angloamericana, senza per questo farmi sottomettere o plagiare da essa». Che strano, in brani come Outro e Rocks, sentire quegli assolo distorti e impazziti di chitarra elettrica e la batteria che picchia duro. Naturalmente lascia il compito ad altri; a giovanotti gagliardi come Ricardo Dias Gomes e Marcelo Callado e al poco più anziano Pedro Sâ, da tempo nella sua band. Lui è una presenza palpabile ma discreta; suona una chitarra acustica pizzicando corde di nylon («non sono mai stato in grado di picchiare sulle corde come fanno tutti i rocker») senza dimenticare la melodia e i ritmi latini (Mihas lagrimas, Musa ibrida), ma l’album è denso di strane atmosfere, armonie dilatate che incrociano folk e rock, samba e chiaroscuri jazzati. «Questo disco è il frutto di anni di conversazioni con Pedro Sá. Così abbiamo deciso di fare un album che stimolasse la discussione critica sul rock, per farlo ci voleva una band fittizia, in cui tutti ci alternassimo al canto, e in cui la mia voce fosse manipolata elettronicamente. Pensavo ad un sound come quello dei Gorillaz, che mi piacciono tantissimo. Ero partito per incidere un disco di sola samba, ma poi mi sono fatto prendere la mano. Ho riunito i ragazzi e ci siamo capiti al volo. Dopo aver ascoltato i temi che avevo scritto, in pochi minuti eravamo pronti per registrare».
Qualche purista, che già ha accolto con sufficienza le precedenti incursioni nel repertorio americano, rimarrà deluso. Cê è un’opera strana e difficile da definire; va ascoltata nella sua prospettiva ambigua, insinuante, irriverente e accettata o rifiutata d’istinto, senza pensarci troppo. «È il più bel complimento che mi si possa fare - sottolinea il chitarrista - perché io voglio cambiare continuamente, pur rimanendo legato alle mie radici. Non critico chi non cambia mai, ma io sono diverso. Chi si allarma nel vedere questi miei cambiamenti mi conosce male. Non amo la cultura angloamericana, ma il blues, il jazz, il rock sono il riflesso della loro vera cultura popolare. Senza contare che il mio esilio a Londra fu più leggero grazie ai Rolling Stones». Quindi Caetano Veloso non ha preso la tangente senza ritorno della musica commerciale? «Ormai sono anziano; non mi sono mai buttato sul rock come fanno tutti, se lo faccio oggi lo faccio con un approccio diverso. Non è un disco di rock come quelli che piacciono a me; altrimenti avrei inciso delle cover. Qui c’è sempre il mio mondo, le canzoni sono mie, la voce è sempre la stessa anche se i miei capelli sono più grigi che neri, meno ricci e sempre più corti».

E per dare conto della sua versatilità - e dell’amore per la tradizione - annuncia: «Il mio prossimo progetto s’intitola Novas Cancões Sentimental, sarà per sola voce e chitarra, scriverò pezzi romantici, sul tipo di quelli di Peninha e Fernando Mendes».

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