Basta sindacalisti italiani a Detroit

«Do not disturb, please». A Detroit non lo dicono espressamente ma, da quanto si apprende, le incursioni Oltreoceano di sindacalisti italiani, l’ultima delle quali la scorsa settimana (Ugl), cominciano a essere sgradite. Significa, secondo fonti vicine al sindacato Uaw, che le tute blu Usa del gruppo Chrysler non vogliono in alcun modo essere tirate per la giacchetta dai colleghi italiani. Insomma, non vogliono rischiare di essere strumentalizzati per questioni parecchio lontane da loro. È successo nel 2009 quando Bruno Vitali (Fim), primo tra i sindacalisti ad affrontare la trasvolata, dichiarò alle agenzie che dopo un colloquio con l’allora capo della Uaw, Ron Gettelfienger, aveva appreso «che c’era l’accordo tra sindacato Usa e sindacato canadese...». Erano i giorni clou del salvataggio della Chrysler. Le affermazioni di Vitali, una volta tradotte, furono accolte dagli americani non proprio benevolmente. «Perché ha parlato? Che cosa c’entra con la nostra trattativa?», si chiesero i vertici Uaw. In pratica era partita una sorta di gara tra le tante sigle italiane (altra anomalia, secondo gli americani).

Poi è stata la volta del nuovo capo, Bob King (nella foto) il quale, durante la sua visita a Torino, secondo Maurizio Landini (Fiom) avrebbe detto «di essere in sintonia con la nostra manifestazione del 16 ottobre». Da Detroit sono caduti dalle nuvole. E ora la recente missione dell’Ugl. Sembra che King e il suo vice, General Holliefield, non si siano fatti trovare, seccati per l’arrivo «di un altro sindacalista italiano».

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