Basta con lo stereotipo per cui a scuola solo l’asino è «fico»

Caro direttore,
voglio complimentarmi con Cristiano Gatti per l'ottimo articolo sui vip che si vantano della propria ignoranza: pubblicarlo proprio il giorno degli esami di maturità mostra una volta di più la vostra tendenza a non allinearvi al politicamente corretto. Sono parecchi anni che combatto una privatissima battaglia contro uno stereotipo culturale che specie nel nostro Paese si è via via consolidato, tanto più in anni recenti, in cui sono stati realizzati film e fiction di argomento scolastico. Lo stereotipo è che l'eroe della vicenda - fascinoso, sportivo, disinvolto, in una parola «fico» - deve per forza essere non solo allergico allo studio, ma anche pochissimo preoccupato del disastroso andamento delle sue pagelle, quasi che la pletora di attività extrascolastiche di cui si deve occupare gli impedisse di pensare anche ad un'inezia come lo studio. Per contro, chi è bravo a scuola deve necessariamente essere odioso, brutto, sfigato, emarginato, lecchino, in una parola una figura negativa, che passa tutto il giorno sui libri e non pensa ad altro. Sembra di vedere un'incarnazione del pregiudizio inglese - da voi recentemente denunciato - secondo cui le donne belle non sono professionalmente serie perché buttano via troppo tempo davanti allo specchio. Questo stereotipo è non solo diseducativo, ma anche falso. In tutte le classi che ho frequentato i più bravi erano anche i più inseriti, e quelli che si comportavano da secchioni erano semmai gente da sei e mezzo, ottenuto a costo di infinite sgobbate. Al liceo, per esempio, il primo della classe era il tipico «porco», simpaticone ossessionato dal sesso; il secondo (che ero io) il ragazzino faccia d'angelo romantico e sospiroso, sempre innamorato a fondo perduto; il terzo il tipico fricchettone che suonava la chitarra e si credeva la reincarnazione di Jimi Hendrix, e così via. I secchioni e gli intellettualoidi veleggiavano a centro classifica. Plaudo quindi a questa denuncia, che non solo tenta di dare un minimo di serietà e validità a questi benedetti esami, ma ristabilisce anche le giuste proporzioni tra realtà e pregiudizio.

Ma sì, caro ingegnere, ci siamo rotti di questi monumenti all’asino, di questi luoghi comuni per cui per essere un «fico» bisogna assolutamente timbrare il cartellino dell’ignoranza. Ci siamo rotti dell’iconografia stereotipata per cui uno studente che sa distinguere le Fosse Ardeatine da un fenomeno carsico e l’isola di Calipso dal gelato Calippo è per forza destinato a una vita infelice. Siamo convinti che uno possa diventare un buon professionista anche se a scuola non ha messo gli slip rossi nel registro di classe ruttando un eccesso di birra in faccia al prof. La scuola sta cambiando (ha visto che brava la Gelmini nella scelta dei temi? Ha visto i primi effetti delle severità agli scrutini?), ma il cambiamento deve continuare. E deve passare anche per l’immagine che film, fiction e persino giornali danno della scuola. D’ora in avanti combatteremo metro per metro questa tendenza all’esaltazione dell’asino. Perché è vero, come rivela una ricerca dell’Unioncamere che studiare non conviene troppo: un laureato, in fondo, guadagna in media appena 120 euro al mese in più di un non laureato.

Ma forse è il caso di cominciare a far passare l’idea che lo studio è qualcosa che va oltre la convenienza, è più di un modo per avere stipendi più alti, è persino più di un atteggiamento che rende più o meno «fico». Pensate un po’: è semplicemente un dovere.

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