Garlasco, scontro Poggi-Procura. "Fa l’interesse del condannato"

La traccia 33 esclusa dagli esami: "C’è tempo". I legali della famiglia: "Accolte richieste di Sempio e Stasi, non le nostre"

Garlasco, scontro Poggi-Procura. "Fa l’interesse del condannato"
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«Dicono che noi abbiamo paura della verità ma si oppongono a un accertamento quando viene demandato a un giudice »: ormai è scontro frontale tra la famiglia di Chiara Poggi, vittima diciott’anni fa del delitto di Garlasco, e la Procura di Pavia. Che la nuova pista battuta dagli inquirenti pavesi, che porta come colpevole a Andrea Sempio anziché Alberto Stasi, non convincesse affatto i genitori di Chiara era evidente dall’inizio, al punto che la famiglia - fermamente tuttora convinta della responsabilità di Stasi - in queste settimane ha più volte criticato le mosse dei pm. E ieri lo scontro si fa frontale, quando nell’udienza davanti al giudice preliminare Daniela Galrlaschelli i pm rifiutano il consenso a allargare l’incidente probatorio (ovvero le analisi alla presenza dei periti delle parti) alla «impronta 33», lasciata sul muro delle scale dove Chiara venne trovata. Un rifiuto per la Procura inevitabile, l’incidente probatorio si fa solo sui reperti che vengono distrutti durante l’esame, mentre l’impronta 33 non esiste già più, raschiata dai Ris insieme all’intonaco durante i primi sopralluoghi, e quindi da analizzare ci sono solo le foto dell’epoca. Quindi tutto si può fare con calma. Ma la reazione di Gianluigi Tizzoni, legale degli Stasi, è aspra: «Il codice prevede che la Procura debba fare le indagini anche nell’interesse dell’indagato (cioè di Sempio, ndr ), la Procura le ha estese anche nell’interesse del condannato (ovvero di Stasi, ndr ) ma non accoglie la richiesta della persona offesa (ossia i Poggi, ndr ) ». È la sintesi pubblica dell’accusa che la famiglia Poggi rivolge da mesi ai nuovi pm, di essersi schierati compatti accanto a Alberto Stasi e ai suoi avvocati, nonostante la condanna definitiva per omicidio inflitta all’ex fidanzato di Chiara.

La Procura, ovviamente, non replica. Il suo capo, Fabio Napoleone, è uscito dal silenzio nei giorni scorsi solo per un comunicato in cui si dissocia dal can can mediatico intorno al caso che «genera solo confusione, dando vita a discussioni fittizie in cui consulenti, esperti o opinionisti commentano su ipotetiche scelte della Procura basate su congetture». I pm, dice Napoleone, «si esprimeranno ufficialmente solo al termine delle attività, adottando le decisioni necessarie». Solo allora, quando tireremo le somme delle accuse a Sempio, il nostro operato potrà venire valutato.

È la linea applicata anche nel caso che arriva ieri a conclusione e che fa parte della rilettura complessiva di anni di malefatte giudiziarie a Pavia di cui anche il caso Garlasco è figlio: la condanna del maresciallo Antonio Scoppetta, per anni a capo della sezione di polizia giudiziaria della Procura e uomo di fiducia del procuratore capo dell’epoca, Mario Venditti.

È stato scavando intorno a Scoppetta e al suo comandante Maurizio Pappalardo che Napoleone e i suoi hanno scovato un giro di clientele e rapporti illeciti che a Pavia coinvolgeva magistrati,

carabinieri, politici, imprenditori. Scoppetta, in carcere da mesi, è il primo condannato: quattro anni e mezzo, per una lunga serie di episodi di corruzione. Sul grumo di Pavia, Garlasco compresa, potremmo essere solo all’inizio.

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