Domenico Siniscalchi
La commedia italiana continua a navigare brillantemente.
Nelle ultime quattro settimane sono uscite tre commedie nuove con volti nuovi. È andata benissimo a Nessuno mi può giudicare di Massimiliano Bruno ( sette milioni di euro). È andata abbastanza bene a Boris-Il film di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo (870 mila euro in dieci giorni).Se l’è cavata in maniera egregia C’è chi dice no di Giambattista Avellino, questo fine settimana secondo (550 mila euro), dietro a The Next Three Days con Liam Neeson e Russell Crowe. Sin qui i numeri. Ma non è solo questione di incassi. Stiamo assistendo ad un passaggio epocale: la fine della commedia istituzionale, che nell’ultimo ventennio ha rappresentato l’ossatura industriale del cinema italiano.
E già,poiché nell’ultimo mese abbiamo registrato l’agonia di un film dalle grandi pretese, Amici miei-Come tutto ebbe inizio , versione rivista e corretta (non così lontana dalla formula magica) del «cinepanettone » De Laurentiis & Parenti & De Sica & Ghini & Panariello & altri.
Una débâcle: 3 milioni e 300 euro (questo weekend la miseria di 26 mila euro). La banda degli specialisti del botteghino si è dovuta arrendere alla migliore arma del momento, potente magnete «attiraspettatori », buono per il grande come per il piccolo schermo: Paola Cortellesi. Brillante conduttrice di Zelig e duplice protagonista di Nessuno mi può giudicare (nel ruolo di una escort) e C’è chi dice no (competente e volenterosa dottoressa precaria, alla quale scippa il posto fisso la strafica raccomandata).
La stagione passata ha avuto un mattatore: Claudio Bisio in Benvenuti al Sud di Luca Miniero.
Quella in corso un cavallo di razza difficile da raggiungere: Checco Zalone in Che bella giornata di Gennaro Nunziante. La televisione di intrattenimento ormai detta i tempi del cinema comico commerciale. Nella fascia più ampia, nelle due pellicole con Paola Cortellesi; o in un universo più esiguo, di nicchia, in Boris-Il film , tratto da una serie «made in Italy» impostasi sul piccolo schermo (peraltro sui canali satellitari). Queste commedie hanno in comune alcune importanti novità. Assenza di volgarità e scemenze gratuite. Assenza di retorica, ideologia e impegno. Storie generalmente ben strutturate. Nuovi attori. Registi lontani dal desiderio di imitare «maestri di un’arte immaginaria », o «autori» (magari appartenenti alla banda dei 100).
La commedia non ha bisogno di denunciare alcunché, né di farsi carico di desideri palingenetici. La commedia deve innanzitutto far ridere. E possibilmente deve farlo misurandosi con la realtà. Senza però stravolgere il senso della realtà. In C’è chi dice no la protagonista, scema e vuota, abituata al benessere garantitogli dagli imbrogli del marito,all’improvvisa morte del consorte si trova in un mare di guai, che risolve brillantemente, ricorrendo al mestiere più vecchio del mondo. Immaginate questa storia affidata al veleno di Sabina Guzzanti. Lasciamo perdere! Rispondere al telefono con una laurea in materie umanistiche (era il tema di Tutta la vita davanti di Paolo Virzì) è una crudeltà autentica della vita. Lo è anche l’illusorio impiego, male retribuito, nell’azienda dalle diramazioni internazionali, con tanto di missione all’estero. Così in C’è chi dice no non si prende il toro per le corna.
Anzi,il toro nemmeno c’è.
Ci sono due argomenti davvero bollenti: precariato e raccomandazioni. Senza far ricorso a lacrime e sangue ( al massimo qualche lacrima sgorga per colpa del buonumore), l’arma migliore è l’ironia. Si dirà qualunquista, deresponsabilizzante, amorale. La commedia spesso è accusata di rappresentare una fuga dalla realtà. Quello che succede al regista protagonista di Boris-Il film è emblematico. Abbandona il set della fiction televisiva, stanco della melassa, per girare un film, vero e impegnato, e che film: La Casta .
Ma il paradiso promesso somiglia all’inferno dal quale era fuggito. E allora? Una volta si diceva: «Ve lo meritate Alberto Sordi». Ora si dice: «Ve lo meritate Moretti».
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