Economia

Dalla Bce solo prediche ma ci sono Paesi virtuosi

L’istituto centrale conferma le stime del Fmi e sprona i governi a non tagliare le imposte. Però la Germania ha i conti in ordine e la sua ripresa è decisiva per tutta l’Europa. In l’Italia la priorità è eliminare gli sprechi della spesa pubblica

Dopo la sventagliata di buone notizie e di ottimismo da parte del Fondo Monetario e della Banca Mondiale adesso ci pensa la Bce, la Banca centrale europea, a dare, con il bollettino di gennaio, i messaggi negativi. In particolare quello per i contribuenti, con la affermazione che non bisogna fare riduzioni di imposte. Per le previsioni economiche, non c’è nessuna differenza di sostanza fra le valutazioni della Bce e quelle delle due banche internazionali che si occupano delle prospettive mondiali. Ma, parca di previsioni economiche, essa ha invece abbondato in prediche ai governi, fra le quali fa spicco quella secondo cui gli Stati dell’Unione europea, e in particolare quelli dell’eurozona, non debbono ridurre le imposte, in questo periodo, perché debbono pensare ai loro debiti e deficit eccessivi. Sembra a tutta prima un discorso ovvio, ma non è così. Infatti è vero che ci sono in Europa deficit e debiti eccessivi. Ma occorrerebbe distinguere le pecore bianche dalle pecore nere che sono andate sulla cattiva strada o c’erano e hanno persistito.
Alcuni Stati europei che avevano bassi debiti come la Spagna e fuori area euro il Regno Unito, hanno fatto elevati deficit e il loro debito è improvvisamente salito, altri Stati come la Grecia, che avevano già grandi debiti, hanno fatto alti deficit e rischiano l’insolvenza. Anche l’Irlanda e il Portogallo stanno fra le pecore nere. Ma la Germania è una pecora bianca, anzi candida. Chiude il bilancio del 2009 con un deficit del 3% sul Pil e non ha un elevato rapporto fra debito e Pil. La sua ripresa è decisiva per l’economia dell’eurozona, essendone il motore maggiore. Ed ha bisogno di sostenere la crescita che, come dice la Bce, non è così robusta come potrebbe sembrare. Ciò perché essendo aumentati i disoccupati la domanda di consumi non è brillante. Inoltre gli investitori sono cauti, perché il mercato non è ancora robusto e non ci saranno tanti nuovi investimenti.
I liberali tedeschi, facenti parte del governo di coalizione con la Cdu-Csu di Angela Merkel vorrebbero ridurre le imposte, per lasciare più reddito nelle tasche dei cittadini, per consumi e investimenti e per dare più incentivi alle imprese. Se c’è un Paese in cui è sensato ridurre le imposte, proprio per rimediare alle debolezze della ripresa messe in luce dalla Bce, esso è la Germania, che sa controllare la spesa. Tralascio il discorso sulla Francia perché intermedio a quello sui tedeschi e quello sull’Italia. E vengo a noi. Non è vero che per contenere il deficit l’unico modo sia non ridurre le imposte. C’è anche il contenimento delle spese. Mentre la Bce faceva circolare questo bollettino con predica fiscale, l’Istat ha diramato i dati della spesa pubblica fra il 2000 e il 2008 che è aumentata dal 46,2% del Pil al 49,3.
Prevedo l’obiezione: adesso non si può tagliare la spesa, perché c’è bisogno di ammortizzatori sociali. Però una volta finito il peggio della crisi, c’è la fase due. È vero che c’è ancora bisogno di spese per cassa integrazione e indennità di disoccupazione. Ma guardando al bilancio consuntivo del 2009, in rapporto alla previsione della legge finanziaria, si nota che fra i due bilanci c’è un maggior deficit dovuto a anomala crescita della spesa pubblica, in eccesso alla previsione della legge finanziaria, dovuta a ragioni eterogenee. Tralascio l’aumento, rispetto alle previsioni, della spesa per investimenti, che è necessaria. C’è una crescita di spesa corrente di 11,6 miliardi di cui solo 2 per aumento della spesa per cassa integrazione e indennità di disoccupazione.
Altri 9,6 sono per altre maggiori spese correnti: 2 per eccesso di spesa sanitaria, 4,3 per maggiori acquisti di beni e servizi, i 2,4 per la social card e infine 0,4 miliardi per maggiori spese per pensioni. Ci sono poi 1,5 miliardi per la statizzazione di Scif, un ente di cartolarizzazione degli immobili dell’Inps, in crisi per errata gestione. Dietro a ciò ci sono pressioni di sindacati che non capiscono la vera socialità, cattive gestioni regionali della sanità, per le quali viene in soccorso lo Stato, ritardi enormi nella adozione di tecniche di controllo dei bilanci da parte delle burocrazie statali, regionali, locali, di enti vari. Così non è facile per il governo controllarle. Non può pretendere che il contribuente versi le imposte, anziché evadere se è sempre lui a pagare il conto delle evasioni degli altri dai propri doveri. E non basta la «socialità» per stabilire che lui deve sempre «dare». C’è un limite.

La spirale va invertita.

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